Allarme suini selvatici, alla Regione fanno i “babbi” per non pagare il dazio
Il vecchio detto siciliano “fari u babbu pi non pagari u dazio”, riflette il comportamento del furbo, o di chi si credeva tale, che, nei tempi passati, facendo finta di non capire o fingendosi di non essere del tutto a posto di testa, veniva esentato da tasse e responsabilità, potendo, nei limiti, fare e comportarsi come meglio credeva . La stessa impressione l’abbiamo avuto analizzando il comportamento di un Assessorato regionale che ha emanato una nota indirizzata a tutti i sindaci dei Comuni siciliani.
La scorsa settimana Nebrodi News pubblicava un’inchiesta sulla macellazione clandestina di animali infetti in Sicilia dimostrando, numeri alla mano, l’insussistenza, per grandi linee, del fenomeno. All’interno della stessa inchiesta risalta una problematica accertata nel corso dell’indagine giornalistica che se non affrontata, nel giusto modo e in tempi brevi, potrebbe dar vita a un’emergenza sanitaria seria. Si tratta dell’invasione incontrollata di daini e maiali selvatici e della “commercializzazione” delle loro carni, senza dovuti controlli – benché la legge li preveda. Ricordiamo che questi animali sono portatori di tubercolosi, la malattia infettiva contagiosa che determina lesioni nodulari.
L’azione contro l’invasione della specie selvatica ad opera di soggetti autorizzati, e non, sembra essere fuori controllo e a denunciare la cosa, com’è riscontrabile dalla nostra inchiesta, sono diversi veterinari delle varie ASP siciliane. Sarebbero pochi gli animali selvatici abbattuti che vengono realmente sottoposti ai rigidi controlli dall’autorità sanitaria. La cacciagione finisce nelle tavole, nei ristoranti e nelle macellerie mettendo a serio rischio la salute dei Siciliani, e non solo.
L’Assessorato all’Agricoltura dello sviluppo rurale della pesca mediterranea, per fronteggiare anche questo tipo d’allarme, ha inviato una nota a tutti i comuni siciliani chiedendo collaborazione nelle attività di controllo, della specie cinghiale e suoi ibridi, nel territorio regionale, invitando loro a valutare la possibilità di procedere all’acquisto ed alla messa in opera di specifiche strutture di cattura (trappole mobili/chiusini) per il trappolaggio e la rimozione dei suidi selvatici. L’idea del Dipartimento regionale dello sviluppo rurale e territoriale non sarebbe male, considerato che in tal modo si acuirebbe l’attività di controllo faunistico come anche l’attività di controllo legata all’aspetto sanitario, se non fosse però per il fatto che ai Comuni non sia stata data alcuna indicazione su cosa fare o farsene dei capi di suidi catturati.
Quelli che servirebbero sono i centri di raccolta e l’attivazione di una filiera di carni da selvaggina, tra l’altro previsti dal Piano Straordinario di Cattura emanato dal Commissario Nazionale alla peste suina africana, mai realizzati in Sicilia. Senza i centri di raccolta non è materialmente possibile gestire tutti quegli animali non immediatamente destinabili alla macellazione, come ad esempio scrofe con suinetti al seguito, verri, suinetti sotto i 60 giorni o cinghiali che hanno ingerito alimenti non adatti alle successive fasi di stagionatura, ad esempio olive o mais.
Nel 2020 l’Opan, Organizzazione Prodotto Allevatori Nebrodi, ha generato un protocollo di cattura e di trasformazione dei suini catturati che ha inviato all’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. L’Ente ministeriale, valuta geniale l’idea di trasformare e commercializzare la carne degli animali selvatici poiché da la possibilità di recuperare i costi della cattura, approva il protocollo che immediatamente recepisce il Ministero della Salute. Nella successiva conferenza Stato-Regioni il protocollo, di marchio siciliano, diventa regolamento nazionale. La Regione Siciliana, essendo a statuto autonomo, non recepisce il regolamento nazionale e non emana nessuna misura attuativa per regolamentare sia la cattura che la trasformazione. Il Piano Straordinario di catture, prevede appunto la cattura, la raccolta in appositi centri, l’abbattimento, la lavorazione della carne dei capi sani o destinabili al consumo umano e lo smaltimento delle carcasse animali, utilizzando anche carnai, le stazioni di alimentazione e conservazione dei rapaci presenti nei Parchi siciliani. La soluzione quindi è stata trovata, ma il problema, in Sicilia permane
Questo argomento i funzionari regionali degli assessorati competenti lo conoscono benissimo. Ai più duri di comprendonio, diversi sindaci siciliani in difficoltà nei propri territori per l’invasione massiva di suidi, lo hanno spiegato diverse volte. Fino allo sfinimento. Ciò nonostante da tempo si attende una misura attuativa, o la sottoscrizione di un protocollo d’intesa che definisca le regole basilari. Cosa succede invece? A 391 primi cittadini di altrettanti comuni siciliani, viene recapitata una nota a firma del dirigente del Dipartimento regionale dello sviluppo rurale e territoriale con la quale vengono invitati a procedere all’acquisto ed alla messa in opera di specifiche strutture di cattura. E gli animali catturati non destinabili alla macellazione come dovrebbero essere gestiti dai sindaci, se escludiamo l’ipotesi che potranno ospitarli a casa loro.