Aree interne, la carenza di servizi accelera lo spopolamento

di Salvo Lapietra
21/02/2023

Le aree interne hanno sofferto di un progressivo spopolamento negli ultimi decenni. Parliamo dei territori più distanti dalle città, dove le opportunità di lavoro sono meno frequenti e anche i servizi in molti casi scarseggiano.

Spesso si trovano in contesti montani o isolani che rendono più difficile organizzare una rete di infrastrutture, collegamenti e servizi. Compresi quelli sociali, educativi, culturali, scolastici.

La conseguenza è che ampie aree del paese risultano meno vivibili per le famiglie, specialmente se hanno figli a carico. Da ciò deriva il progressivo spopolamento che ha caratterizzato i comuni periferici, fin dal dopoguerra.

Dal 1951 a oggi, la popolazione nei comuni polo – baricentrici in termini di servizi – è aumentata del 30,6%: da 15,8 a 20,6 milioni di abitanti. Nei comuni cintura, hinterland delle città maggiori, l’aumento è stato del 48,9% (da 16 a quasi 24 milioni). In quelli periferici e ultraperiferici si è registrato un crollo negli ultimi 70 anni, rispettivamente del 17,7 e del 26,4%. Ovvero da 6,7 milioni di abitanti censiti agli inizi degli anni ’50 a 5,4 settant’anni dopo.

Tale tendenza è proseguita anche negli ultimi anniDal 2011 a oggi la popolazione in Italia è rimasta stabile sui 59 milioni e mezzo di residenti (+0,35%). I poli sono aumentati del 2,5%, gli hinterland sono rimasti stabili (+0,3%), mentre i comuni interni hanno visto un calo in proporzione alla loro distanza dai servizi.

In quelli intermedi, dove si impiegano tra 27 e 40 minuti per raggiungere il polo più vicino, il calo è stato dell’1,9% rispetto agli abitanti censiti nel 2011. Quelli periferici, dove servono tra 40 e 67 minuti, hanno visto la popolazione ridursi del 3,8%Nei comuni ultraperiferici i residenti sono il 4,5% in meno del 2011. Si tratta dei territori più remoti, situati ad almeno 67 minuti di distanza dai poli.

Un trend di progressivo spopolamento che, osservando i dati sulle previsioni di popolazione al 2030, è probabile sia destinato a continuare anche nei prossimi anni.

Il calo dei bambini nelle aree interne da oggi al 2030

Le province con più minori residenti in aree interne sono anche quelle destinate a spopolarsi maggiormente nei prossimi anni.

È quanto emerge se si incrociano i dati sulle previsioni demografiche di Istat al 2030 (formulati su uno scenario mediano) con quelli sull’incidenza di minori in comuni periferici e ultraperiferici.

In media in Italia l’8,6% dei bambini sotto i 2 anni vive in questi comuni interni, distanti oltre 40 minuti dai poli di servizi. E la percentuale cresce ulteriormente in 46 province su 107. Tutte e 46, tranne una (Trento), vedranno il numero di minori calare da qui al 2030. Per 36 di queste il decremento sarà superiore a quello registrato nel paese.

A livello nazionale, il numero di bambini nella fascia demografica più giovane (quella più bassa disponibile è compresa tra 0 e 4 anni) si prevede che cali del -8,32% in questo decennio. Passando da 2,26 milioni nel 2020 a 2,08 milioni nel 2030.

Nelle province con tanti bambini che vivono in aree interne tale spopolamento procederà a un ritmo molto più sostenuto. A Nuoro (prima per quota di residenti 0-2 anni in comuni periferici e ultraperiferici, 85% del totale nel 2020) i bambini nel 2030 potrebbero essere il 19,1% in meno di oggi. A Isernia (seconda, con il 66,4% di minori in aree periferiche) si prevede un calo del 16,7%. Enna (terza, 62,75%) potrebbe assistere a una diminuzione di bambini dell’11%.

Aree interne: territori con pochi servizi e rischio spopolamento

In tanti casi, cali particolarmente significativi colpiranno i territori che oggi hanno una minore disponibilità di servizi educativi, in particolare quelli rivolti all’infanzia.

Una serie di province – 17, tutte del mezzogiorno – attualmente si caratterizzano per un’offerta nelle strutture per la prima infanzia inferiore ai 15 posti ogni 100 bambini residenti con meno di 3 anni.

In tutti e 17 questi territori, i bambini fino a 4 anni nel 2030 saranno meno di oggi. Con un calo che in 15 casi su 17 supera la media nazionale, e in 6 sfonda quota 10%: Crotone (-10,74%), Palermo (-11,87%), Vibo Valentia (-13,79%), Catanzaro (-14,96%), Reggio Calabria (-16,23%) e Cosenza (-17,07%).

Ovviamente, il fenomeno dello spopolamento nei prossimi anni sarà generalizzato in quasi tutto il paese e quindi colpirà anche territori più attrezzati. Basti pensare alle 3 province che superano la quota di 45 posti ogni 100 bambini, Ravenna, Bologna e Ferrara, dove il calo di residenti 0-4 anni oscillerà tra l’8 e il 10%.

Inoltre il caso della Sardegna mostra come anche territori con ampie aree interne, pur in presenza di un livello di servizi in linea o superiore media nazionale, saranno fortemente colpiti dallo spopolamento. E del resto, si potrebbe anche dire che l’offerta dei servizi attuale è commisurata allo spopolamento in corso e previsto per il futuro.

Tuttavia, parlando di politiche pubbliche chiave per il futuro del paese, lo scopo dovrebbe essere proprio invertire la tendenza. Ovviamente nidi e altri servizi rivolti ai minori, come quelli scolastici, sono solo una parte di una strategia per fermare declino demografico.

Ma è anche dalla capacità di offrire servizi per le famiglie e i minori, su tutto il territorio nazionale, che passa sfida per interrompere il calo della natalità. Anche e soprattutto nelle aree più distanti dalle città.

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