Incendio di natura dolosa nel territorio comunale di Motta D’Affermo dove, lo scorso mercoledì intorno alle ore 19, è stato dato alle fiamme un mini escavatore in un cantiere del Gruppo Mammana, di Castel di Lucio. Sgomento, soprattutto per il clima di intimidazione, e solidarietà nei confronti dell’imprenditore dal grande spessore morale, che da anni crea occupazione e sviluppo economico nell’intero territorio. Nessun dubbio sulla matrice dolosa dell’incendio, sulla quale indagano i Carabinieri del Comando Compagnia di Mistretta.
Assistiamo ancora una volta ad un atto criminale di cui, al momento, se ne ignora il movente, ma che, ad ogni modo, cerca di influenzare le logiche imprenditoriali creando solo rabbia e sgomento. Non rimane altro da fare se non attendere la conclusione delle indagini da parte dei Carabinieri. Toccherà a loro ricostruire l’accaduto e cercare di arrivare ai responsabili.
Già nel 2012, l’impresa Mammana aveva subito due attentati incendiari, a danno di altrettanti pale meccaniche di proprietà dell’Impresa. L’incendio, appiccato ai due escavatori, oltre a suscitare sdegno e preoccupazione tra gli abitanti delle tranquille comunità dell’intero hinterland, tenne con il fiato sospeso i lavoratori dell’Azienda che avvertirono la seria minaccia per la propria occupazione. L’Impresa Mammana però non chiuse. Michelangelo – il titolare – nonostante tutto non molla, decise di non lasciarsi intimorire e andò avanti esportando la sua attività d’impresa al di là dei confini della Sicilia. Dalle indagini, portate avanti dalla Compagnia Carabinieri di Mistretta e dalla DDA di Messina, non emerse nulla di importante e rilevante.
L’impresa Mammana è stata oggetto di intimidazioni e propositi estorsivi da parte di gruppi criminali, come emerse anche dall’ordinanza di misura cautelare emessa dalla sezione dei giudici per le indagini preliminari del Tribunale di Messina, che, nel gennaio 2020 ha portato all’arresto di 94 persone accusate di truffa ai danni dell’Ue e che ha visto il coinvolgimento della mafia dei Nebrodi. Negli atti dell’inchiesta dei magistrati peloritani, coordinati dal procuratore Maurizio De Lucia, che ha di fatto assestato un duro colpo ai clan dei Batanesi e dei Bontempo Scavo di Tortorici, spunta il nome dell’imprenditore di Castel di Lucio. Il gip di Messina, Salvatore Mastroeni, relativamente ad episodi accaduti nel 2013, parlava di propositi estorsivi, da parte di alcuni esponenti della famiglia mafiosa di Polizzi Generosa la quale si era mossa con l’approvazione di Francesco Bonomo, ritenuto dagli inquirenti reggente pro tempore del mandamento di San Mauro Castelverde. Tutto ciò un anno dopo che l’Impresa Mammana subisse gli attentati incendiari a danno dei due escavatori, a distanza di una settimana l’uno dall’altro. Il primo, il 30 marzo del 2012 nel territorio di Castel di Lucio , il secondo, il 6 aprile dello stesso anno, nel territorio di Tusa.
Mammana spunta ancora in un’altra indagine, Alastra, che, nell’operazione antimafia dei carabinieri del 30 giugno 2020, portò al fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, nei confronti di 11 persone ritenute, a vario titolo, responsabili di “associazione mafiosa, estorsione, trasferimento fraudolento di beni, corruzione, atti persecutori, furto aggravato e danneggiamento”. Nell’inchiesta, al centro della quale c’è ancora il mandamento di San Mauro Castelverde, coordinata dai sostituti Bruno Brucoli e Gaspare Spedale, erano stati ricostruiti – anche grazie alla collaborazione delle presunte vittime – 11 episodi estorsivi tra cui appunto anche a danno dell’imprenditore di Castel di Lucio
Partendo dal solo elemento certo, ossia che la matrice dell’incendio anche in quest’ultimo attentato è di natura dolosa, la cosa che salta all’occhio, anche dei più distratti, è il fatto che il Gruppo Mammana ha cantieri in tutte le 9 province della Sicilia, ma i tre attentati incendiari li ha subiti tutti a casa propria. Nel proprio territorio. Guarda caso nel territorio che ha rappresentato, da sempre, uno degli elementi essenziali del potere di quella che, ancor ora, viene chiamata “famiglia di Mistretta” che continua a svolgere la propria funzione di “cerniera” tra la criminalità della provincia di Messina, le organizzazioni palermitane e quelle catanesi, tanto che nell’assetto di Cosa Nostra, rientra nel mandamento palermitano di San Mauro Castelverde.