Nell’affollatissimo Palatenda di Brolo, si è conclusa da poco la presentazione del libro della scrittrice brolese Maria Azzurra Ridolfo: “FIORDALISO. Morire a 18 anni di ospedale”. Un testo di 157 pagine nella cui prefazione è riportata la firma di un personaggio di tutto rilievo nel panorama culturale italiano, lo scrittore e giornalista Alfio Caruso.
Il romanzo ripercorre le vicende di un giovane liceale di Sant’Angelo di Brolo, Stefano Terranova, strappato alla vita prematuramente nel 2013. E’ lo stesso Stefano che si racconta e racconta della sua malattia alla quale caparbiamente non ha voglia di arrendersi. Ricoverato in un ospedale considerato “centro di eccellenza” per patologie neurologiche, in luogo della cura della malattia, si imbatte in una serie imperdonabile di errori posti in essere dai sanitari della struttura ospedaliera che causano il suo decesso “di “ospedale.
Il libro non è altro che la voce di Stefano che nei suoi mesi finali – come racconta Alfio Caruso –ha avuto l’amaro privilegio di conoscere il miele: la straordinaria bravura di un professionista, il dottor Ferrante, che aveva compiuto il miracolo di strapparlo ad un destino che appariva irreversibile, e il fiele dell’assistenza sanitaria nel nostro Paese dove i drammi della malasanità sono all’ordine del giorno.
“Questo libro non insegue rivalse di alcun genere, allo stesso modo in cui la famiglia di Stefano ha per anni rifiutato ogni legittimo riconoscimento economico – illustra Caruso, riferendosi al caso giudiziario colposamente perché prescritto. Questo libro desidera contribuire alla richiesta di verità che da sei anni rimane inevasa. E lo fa attraverso i pensieri, i sogni, i motteggi le mattane di Stefano. Lo consegna ai cuori di tutti, anche di quanti non hanno conosciuto Stefano, affinché ciascuno possa sentirsi parte di una grande battaglia di civiltà”
All’incontro moderato dal giornalista Nuccio Anselmo, erano presenti l’autrice, Maria Azzurra Ridolfo, Maria Rita Cicero, autrice delle “conclusioni”, il giornalista Alfio Caruso ( intervenuto telefonicamente) e il Magistrato Felice Lima. Emozionante la testimonianza toccante del padre di Stefano, Tindaro, che spiega come il dolore intimo per la perdita di un figlio, possa essere trasformato e posto a servizio di una battaglia di civiltà e giustizia.
Dalle “conclusioni” del romanzo si legge il finale della storia: “Stefano non è, né mai sarà, il freddo numero di un caso giudiziario colposamente archiviato perché prescritto. Resterà il ragazzo con la giacca rosa, il ciuffo ribelle, gli auricolari alle orecchie, che voleva correre incontro a un futuro tutto da costruire, da sperimentare, da vivere. Vittima della malasanità o più ancora vittima di una certa giustizia”.