Gli occhi bassi perennemente incollati al cellulare; distratti e con lo sguardo, sovente, perso nel vuoto; insoddisfatti, scontenti e sempre di corsa. Questo è il ritratto della nuova generazione, la generazione del “tutto e subito” che, non so come, riesce a provare tanto stupore davanti al nuovo I-Pone e indifferenza di fronte alle tante meraviglie del mondo. Allo sguardo disincantato dei ragazzi di oggi tutto appare come già visto e sperimentato, niente, o quasi, riesce a suscitare in loro sbalordimento, sorpresa, curiosità.
In brevissimo tempo ho visto e vissuto uno stravolgimento dell’universo socio-economico e culturale che regolarmente mi lascia perplesso. “I tiempi canciaru”, ma sono cambiati troppo velocemente, in maniera fulminea, imprevista, esagerata. Mio figlio mi guarda attonito, quasi incredulo, quando gli racconto particolari della mia infanzia. Quando non esistevano cellulari, tablet, play station eppure ci divertivamo molto più di quanto si divertono loro adesso. Quando i giocattoli ce li costruivamo da soli usando l’ingegno ed il solo materiale offerto direttamente dalla natura o dai piccoli scarti domestici di un’epoca in cui, essendo pochi i consumi, erano scarsi anche i rifiuti.
La fionda, “a strummula” (la trottola), il fucile con l’elastico, il monopattino costruito con tavole e cuscinetti estratti da scarti meccanici di automobili; l’arco ricavato da un bastone di legno con relative frecce guadagnate dai raggi in metallo di ombrelli rotti, recuperati negli immondezzai; la canna per catturare gli uccelli costruita, legando alle estremità di più canne comuni collegate tra loro, una circonferenza fatta con il fil di ferro dove veniva incastonata una rete: sacco di patate o tramaglio di mortadella che recuperavamo nelle botteghe di generi alimentari.
Giorni di sacrifici alla spasmodica ricerca di materiale utile da potere impiegare per la costruzione del “giocattolo”. Tanta disperazione e tanto lavoro per cui, a fabbricazione ultimata, l’interesse di noi ragazzi era quello di custodire e salvaguardare il nuovo strumento di svago cercando di farlo durare più a lungo possibile. Dall’interno della realtà rurale del paese di montagna lontano dalla modernità, dove sono nato e cresciuto, ho vissuto in prima persona il boom economico e quindi le diverse fasi di mutamento, di “crescita”. E’ difficile stabilire il momento esatto in cui è avvenuto il passaggio socio-economico e culturale tra i bambini di una volta e quelli di oggi, constato però, mio malgrado, che questo processo è avvenuto troppo velocemente e non ha apportato, nei giovani del terzo millennio, alcuna miglioria, nessuna rivoluzione concreta. Perché…?!
Noi, molto più poveri dei coetanei odierni, venivamo da una cultura improntata sulla parsimonia come principio fondamentale; loro, forse non sono davvero più ricchi, ma hanno solo, assieme alla maggiore disponibilità, molti più “bisogni” e un senso decisamente minore del valore utile degli oggetti, delle cose, dello stesso denaro. Noi usavamo le cose; loro le consumano. Noi non avevamo alcuna certezza che il giocattolo ricevuto o costruito potesse facilmente essere sostituito con uno nuovo o migliore. Loro lo danno per scontato.