La triste sconfitta dei bisogni primari, oscurati dal superfluo e dalle banalità

di Giuseppe Salerno
08/02/2023


In un negozio di abbigliamento ho assistito ad una scena raccapricciante
. Un’adolescente, si e no quindicenne, in preda ad una crisi isterica, inveiva contro la propria genitrice offendendola e umiliandola, in presenza di commessi e clienti, per via di un paio di scarpe, prezzate 230 euro, che la madre non era convinta di comperarle.

Quella povera donna, imbarazzatissima, cercava di convincere la ragazzina, indemoniata, a rinunciare all’acquisto delle calzature poiché troppo costose per le proprie finanze. Invitava, sommessamente e con fare discreto, la propria figlia nel retrobottega, per discutere lontano dagli sguardi curiosi della gente che entrava ed usciva dal negozio, ma niente, non c’era verso né modo di persuadere l’adolescente. Avrei voluto, in qualche modo poter essere d’aiuto alla signora in serie difficoltà, ma non sapevo come. Turbato, per quanto avevo visto e sentito, lascio l’esercizio commerciale, ma per tutto il tempo, lungo la strada di ritorno verso casa, non ho fatto altro che meditare su quella vicenda. Quello a cui ho assistito, ovviamente, è un caso limite, ma quel che è accaduto in quel negozio, molto frequentemente, accade in tantissime case. In parecchie famiglie.

E’ una caratteristiche della società moderna, una peculiarità di buona parte dei giovani del terzo millennio: mancata propensione alle rinunce, presenza di un diffuso atteggiamento consumistico e di una tendenza non alimentata da necessità, ma da falsi bisogni che hanno gradualmente trasformato il possesso del prodotto di marca in una vera e propria fonte di felicità. Un falso strumento per costruire una identità sociale appesantito dal timore di critiche e disapprovazioni.

Nasce così una situazione a dir poco paradossale, in cui emerge un apparente benessere esteriore che si contrappone nettamente al deserto interiore. Rinunciare alle Hogan, ai vestiti firmati, all’I-Phone fa sentire i giovani, che vivono giornalmente un corrosivo sentimento di scontento, “diversi”, se non addirittura poveri. La società contemporanea, nonostante l’imperversare della crisi, vive del lusso, dei vestiti e delle scarpe firmate e di tecnologia all’avanguardia. Siamo arrivati al punto di chiedere il finanziamento, a pagare a rate, ad indebitarci pur di avere l’ultimo capo alla moda o le scarpe griffate perché gli abiti meno costosi non ci fanno sentire parte integrante della società. Non c’è l’ho né con la ragazzina capricciosa, (che lì lì, istintivamente, “avissi pistatu cuomu a racina”) né tantomeno con quel povero Cristo della madre, volevo solo rimarcare la triste sconfitta dei bisogni primari, oscurati dal superfluo e dalle banalità, e la netta scomparsa del senso di responsabilità che una volta arricchiva di significati la società e la vita.

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