Il traffico di animali da allevamento rubati, la macellazione clandestina, pongono un serio problema di sicurezza alimentare perché sfuggono a qualsiasi controllo, soprattutto a quelli sanitari. A raccontare la situazione in Italia è il rapporto Zoomafia di Lav, un documento che analizza il “fenomeno” basandosi sui dati delle Procure di tutta la Penisola.
Abbiamo cercato di fare una fotografia a quella che, in Sicilia, è la situazione relativamente a tale fenomeno partendo dai numeri, forniti a questo Giornale dall’Assessorato Regionale alla Salute, dal cui studio è emersa una “verità”, che non è la nostra, ma quella oggettiva, che si basa su una precisa lettura dei dati.
Oggi in Sicilia si contano 40.617 aziende zootecniche, di cui 10.349 allevamenti bovini – bufalini, 10.819 di ovi-caprini, 1.776 suidi, le rimanenti aziende riguardano altre specie animali: equini, avicoli, ecc. Tra Gennaio 2017 e Giugno 2024, dalla banca dati del Sistema Informativo Veterinario (anche Vetinfo), risultano essere stati registrati 2.705.640 capi bovini – bufalini e 7.220.511 capi ovi-caprini. Negli anni in esame, la media delle aziende presenti nel territorio isolano è di 22.040 di cui 10.781 allevamenti bovini-bufalini e 11.259 allevamenti ovi-caprini. Nel periodo compreso tra Gennaio 2017 e Giugno 2024 sono stati dichiarati smarriti 61.088 bovini-bufalini. Dividendo il numero di capi bovini smarriti per il numero di allevamenti presenti nel territorio (61.088/10781) risultano smarriti – in media per ogni azienda in 8 anni – 5,66 capi. Ogni azienda siciliana, in media, dal 2017 al 2024 ha smarrito 5,6 capi bovini/bufalini, meno di un capo all’anno. Ossia 2,6% della popolazione bovina-bufalina regionale. Un dato rassicurante e di certo non inquietante; un dato fisiologico per la tipologia delle aziende siciliane, prevalentemente brade e semibrade. Analizzando adesso i dati relativi agli ovi-caprini emerge che – tra il 2017 e il 2024 – è stata denunciato lo smarrimento di 969.377 di capi; dividendo il numero di capo smarriti per gli allevamenti di ovicaprini (11.259) emerge un dato tutt’altro che preoccupante. In 8 anni ogni azienda ha smarrito, in totale, 86,10 capi; quindi meno di 10 capi ad azienda per ciascun anno di riferimento. Un alto dato importantissimo, relativo al medesimo periodo in analisi, riguarda il numero animali risultati positivi a tubercolosi e brucellosi che non sono stati macellati. Parliamo dell’1% relativi alla TBC e 2,79% dei capi infetti da BRC. Animali che risultano in seguito morti in azienda e per i quali non è stata presentata alcuna denuncia di smarrimento. Questi numeri ci consegnano un dato tutt’altro che allarmante. Lo smarrimento dei capi in allevamenti come quelli siciliani – pascoli bradi e semibradi – è fisiologico alla natura dell’allevamento.
Eppure, proprio dal dato legato alle denunce di sparizione, si è cominciato a parlare di macelli clandestini, di un pericoloso intreccio tra mafia, allevatori e medici veterinari compiacenti legati tra loro dal business della macellazione clandestina di animali infetti che rappresenterebbe una grave minaccia per la salute pubblica e per l’ambiente. Chi ne parla lo fa esibendo numeri, interpretando i dati in maniera soggettiva o peggio ancora per sentito dire, sulla scorta di confidenze su presunti dossier secretati.
Di macellazione clandestina di bovini e ovini infetti ne ha parlato qualche mese fa l’eurodeputato pentastellato Giuseppe Antoci, qualche giorno prima che cominciasse il processo di Appello Gamma Interferon*, prometteva una interrogazione al Parlamento eruopeo per far luce sul business della macellazione clandestina; ne ha parlato la responsabile del Dipartimento Agricoltura per la Sicilia orientale di Fratelli d’Italia, Gabriella Regalbuto, che ha fornito una lettura diversa dei dati relativi a smarrimenti e animali infetti; ha trattato l’argomento la Repubblica, titolando: “Oltre 100mila animali fantasma; l’ombra dei macelli clandestini”; in ultimo il Codacons, che ha presentato un esposto alle nove Procure siciliane (Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa e Trapani) per tutelare la salute dei consumatori e verificare eventuali omissioni in termini di controlli da parte dei soggetti preposti. Del fenomeno ce ne siamo occupati anche noi, nell’inchiesta che ci ha visti impegnati per qualche mese in giro per la Sicilia alla ricerca di numeri, dati, riscontri e testimonianze.
Codacons nel report consegnato alle Autorità giudiziarie parla di 660 mila animali spariti tra il 2011 e il 2016, di cui 606 mila ovini-caprini e 54 mila bovini. Secondo l’Associazione dei consumatori dietro lo smarrimento di questi capi ci sarebbero “interessi economici legati alla criminalità organizzata, un pericoloso intreccio tra mafia, allevatori e veterinari compiacenti”.
Detto in questi termini, con un dato vecchio e inattuale, la cosa potrebbe allarmare. E parecchio. Ma in realtà il fenomeno “macellazione clandestina”, e segnatamente la macellazione clandestina di animali infetti (bovini e ovi-caprini), in Sicilia, almeno per il momento, non desta nessuna preoccupazione. Dalla nostra inchiesta è emerso, invece, che comincia a destare preoccupazione, per filiera agro-alimentare, oltre che per l’agricoltura, l’invasione incontrollata e la “commercializzazione” dei maiali selvatici (portatori di malattie infettive virali per il bestiame e per gli uomini) e delle loro carni. Ma questa è un’altra storia. Inquietante, ma è un’altra storia.
La nostra inchiesta non si basa solo sull’analisi dei numeri. Abbiamo approfondito l’argomento con gli addetti ai lavori, intervistando alcuni responsabili di Centri di Assistenza Agricola, cosiddetti CAA, che hanno la delega degli allevatori per inserire i dati nel sistema VETInfo (la banca dati nazionale zootecnica); incontrando allevatori di diverse province della Sicilia, veterinari della provincia di Messina, Palermo, Enna, Catania e Ragusa, i direttori di alcuni macelli e intervistato il procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Caltanissetta
Ma andiamo con ordine. L’ordine che ci serve a capire meglio e fare un po’ di chiarezza. Partiamo dall’ultima, e forse più importante inchiesta giudiziaria del recente passato legata all’abigeato e alla macellazione, clandestina che ha interessato una porzione della Sicilia: l’area dei Nebrodi.
La macellazione clandestina fu al centro di un’inchiesta che nel 2016 interessò i Nebrodi. Una maxi inchiesta nominata “Operazione Gamma Interferon”, portata avanti dagli dal pool anti agromafie del Commissariato di Polizia di Sant’Agata di Militello che aveva denunciato un “sistema marcio” della macellazione clandestina nella zona nebroidea, nonché della vendita di carne e merce pericolosa per la salute, ad altissimo rischio di trasmissione di malattie infettive quali la tubercolosi. In quell’indagine furono indagati 50 soggetti, 41 di loro rinviati a giudizio accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati quali furto, ricettazione, maltrattamento e uccisione di animali, commercio di sostanze alimentari nocive, nonché truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, abuso di ufficio, falso, omissione in atti d’ufficio e favoreggiamento. Allevatori, macellai e perfino medici veterinari in servizio al dipartimento Asp di Sant’Agata Militello ai quali veniva contestata la scarsa, o mancata attenzione, nei controlli che, di norma, avrebbero dovuto esser messi in atto su carni e prodotti. Secondo l’accusa, chi doveva controllare non controllava o comunque falsava i risultati dei controlli, ottenendo poi in cambio benefit dall’azienda.
La Procura di Patti dispose degli accertamenti ripetibili sugli animali già controllati dall’Asp, su cui vi era il sospetto di malattie infettive quali la tubercolosi. In particolare, gli esperti nell’ambito delle indagini hanno utilizzato il Gamma Interferone, un sistema che determina la presenza della tubercolosi negli animali attraverso l’analisi del sangue. Sulla base di questi esami la Procura ha sorretto il proprio impianto accusatorio sostenendo che i medici veterinari mentivano – in collusione con allevatori “mafiosi”- in quanto dagli esami dei veterinari gli animali risultavano sani. Secondo la Procura i veterinari riuscivano così a garantire la “legalizzazione”, sulla carta, degli animali, con falsa documentazione e apposizione di marchi identificativi sugli animali rubati, cosa che permetteva ai capi delle associazioni di accaparrarsi anche contributi europei. Il verdetto di primo grado arriva il 19 luglio 2023. Difetto di querela, intervenuta prescrizione, assoluzioni perché il fatto non sussiste e per non aver commesso il fatto, sono le motivazioni addotte dal Collegio giudicante del Tribunale di Patti che, solo per alcuni capi d’imputazione, condanna solamente 7 dei 41 soggetti rinviati a giudizio, scagionando tutti gli altri. Tra i 103 capi d’imputazione prescritti sui 127 complessivi derivati dall’originaria inchiesta del 2014, anche l’associazione a delinquere di cui rispondevano 25 degli imputati. Assolti i medici veterinari dell’ASP di Sant’Agata di Militello.
L’impianto accusatorio crolla anche a seguito degli accertamenti disposti dal tribunale di Patti. In particolare la dott. Anna Maria Fausta Marino, direttore dell’Area Catania dell’IZS della Sicilia, era stata incaricata dal Tribunale di Patti ad eseguire gli accertamenti su alcuni animali in vita sequestrati in fase di indagini preliminari, risultati positivi alla tubercolosi dall’esame Gamma Interferone, eseguita dall’Istituto Zooprofilattico di Barcellona per conto della Polizia Giudiziaria. Nell’occorso si accertava che alla prova ufficiale IDT (intradermotubercolinizzazione) parte dei bovini esaminati erano negativa, accertando così che il Gamma Interferone – come è risaputo nel mondo scientifico – sovente dà risultati di falsa positività.
Il Tribunale di Patti (presidente Scavuzzo) ha condannato dunque soltanto 7 imputati su 41, scagionando tutti gli altri. Le condanne sono adesso al vaglio della Corte d’Appello di Messina, il cui processo si è aperto l’8 luglio scorso con un clamoroso colpo di scena. L’Accusa, rappresentata dal procuratore generale Giuseppe Lombardo, dopo aver ripercorso l’inchiesta e il processo di primo grado, ha formulato le proprie richieste, sollecitando alla Corte ulteriori assoluzioni e prescrizioni. In sostanza la Procura Generale si è allineata al ricorso dei difensori. Alla fine per i nove imputati coinvolti rimangono solo quattro richieste di condanna. L’inchiesta “Gamma Interferon”, tra assoluzioni e prescrizioni per vari motivi, viene sgonfiata dalla stessa magistratura.
Ma torniamo nel vivo della nostra inchiesta. Alle interviste, ai riscontri e alle testimonianze
Apprendiamo dagli operatori dei CAA che gli allevatori preferiscono dichiarare lo smarrimento del capo e non la morte (fisiologica) per evitare l’iter legato allo smaltimento, che per le aziende ha costi non indifferenti. “La morte di un capo animale – ci spiegano gli operatori – prevede lo smaltimento della carcassa mediante l’attivazione di ditte specializzate nel settore che, preso in carico l’animale, lo trasportano nell’unico inceneritore presente nell’Isola con costi che oscillano tra i 1000 e i 1500 euro. L’alternativa meno onerosa e più praticata, sta nel chiedere l’autorizzazione all’interramento della carcassa al Comune dove ricade l’azienda zootecnica, con costi che si aggirano tra i 400 e gli 600 euro. Costi legati allo studio geologico e all’interramento materiale con l’ausilio di una pala meccanica”.
La pratica in uso, ossia quella di dichiarare lo smarrimento anziché la morte dell’animale, ci viene confermata dagli allevatori. Uno di loro alla nostra domanda perché usate dichiarare una cosa per un’altra, testualmente risponde: “Dopo aver subito un danno economico per la perdita di un capo, secondo lei, io dovrei spendere dei soldi pure per fargli il funerale? Secondo lei denuncio la morte e mi attivo per le procedure di incenerimento? Quantu m’avissi a custari? Quando muore un animale denuncio la scomparsa poi fazzu un fuossu e u vrurricu (Quando muore un animale… faccio un fosso e seppellisco la carcassa)”. A un altro allevatore abbiamo chiesto:
Se domattina un animale della sua azienda dovesse risultare infetto, lo stesso dovrebbe essere isolato o in alternativa abbattuto con ordinanza veterinaria. Qual è, per lei, la soluzione più vantaggiosa? “Avendo difficoltà ad isolarlo, ed essendo anche responsabile di quel capo, per via delle stringenti norme che tutelano la salute pubblica, lo abbatterei senza dubbio. Anche perché dall’abbattimento avrei la conferma o la smentita ufficiale che il capo abbia contratto la malattia”.
Scusi, non è dai controlli veterinari che si ha la certezza del capo infetto o non infetto? “No. Fino a quando non arrivano i rapporti di prova, post-mortem la malattia è solo sospetta. I rapporti di prova arrivano dopo l’abbattimento del capo al macello”.
Supponiamo che lei, dai sintomi dell’animale e con l’esperienza maturata negli anni, sospetta che un capo potrebbe essersi ammalato. Gli conviene macellarlo clandestinamente o portarlo al macello? Da quale delle due alternative ricaverebbe di più? “Sicuramente dal macello, perché a parte la vendita della carne, se realmente il capo, come sospettato, dovesse risultare infetto, godrei anche di un indennizzo e potrei salvare il resto della mandria o del gregge”.
Ad un altro allevatore di 76 anni che ha avuto una azienda sui Nebrodi e una nell’ennese abbiamo chiesto: Lei è a conoscenza di macelli clandestini? “No. Non esistono i macelli clandestini. Anche perché un macello clandestino ha dei costi e il giro di animali, da macellare fuori dagli schemi e dalle regolamentazioni, è irrisorio. Una volta c’erano masserie deputate dove si macellavano animali clandestinamente, ora nun c’è chiù nenti. Ma una volta c’erano anche altre leggi. In questo preciso periodo storico gli allevatori muoiono di fame. Gli animali vengono venduti a niente. Anche la carne al macello viene pagata pochissimo. Lei pensa che se esistessero i macelli clandestini pagherebbero di più? E perché? Non c’è utilità. Specialmente se consideriamo che gli animali abbattuti, perché infetti, vengono comunque mangiati, regolarmente. Come è previsto dalla legge”
Lei sta affermando che c’è un giro di animali, anche se irrisorio, che vengono macellati clandestinamente e dunque destinati all’alimentazione umana senza controlli? “Si, certo. Certo che c’è”.
Potrebbe cercare di essere più chiaro. “In questi ultimi anni i nostri pascoli e i nostri seminativi sono stati presi d’assalto da maiali selvatici, che, oltretutto, minacciano la salute dei nostri animali. Visto che ancora lo Stato non è riuscito a trovare delle soluzioni per risolvere in maniera seria e una volta per tutte la problematica, a difendere i nostri allevamenti ci pensiamo noi stessi. I maiali che riusciamo a catturare vivi li diamo ai ristoratori. Loro provvedono a macellarli per poi servirli in ristoranti e agriturismi, spacciando la carne come carne di suino nero. Si rende conto? Loro fanno questo, ma i disonesti siamo noi”.
Ma la carne servita nelle tavole di questi ristoranti o agriturismi è sottoposta a controllo da parte di medici veterinari? “Non lo so. Forse si o forse no. Comunque a me non interessa. Può chiedere direttamente a loro, se sono disposti a rispondere alla sua domanda. Una cosa è certa: la carne sicura è quella che passa dai macelli perché è soggetta a rigidi controlli”
Lei sa che quello che mi sta dicendo è grave? “Forse. Forse è grave. E’ grave il comportamento di chi macella e porta nelle tavole la carne, senza preoccuparsi di farla prima controllare. La cosa è grave e pericolosa per coloro che vanno a mangiare in determinati posti, non certo per me che mangio a casa.”
Quindi, parlando di macellazione clandestina e di pericoli per la salute pubblica, per lei il fenomeno è strettamente legato all’incontrollato “mercato” della carne dei maiali selvatici, possibilmente infetti, che non vengono controllati? “Si, certu: i maiali che macellano senza alcun controllo veterinario e servono in parecchi agriturismi. I crapetti e l’agnudduzzi chi “scannamu” nui, pi Pasqua e pi Natali, sono “pi usu casa”. La consumiamo noi in famiglia. La carne non viene immessa sul mercato.
Ma quando lei macella in azienda un suo animale, “per uso casa”, mi sembra di capire che il capo macellato non viene sottoposto a controlli sanitari. Così non mette a rischio la sua salute e quella della sua famiglia? “Nonzi… (pausa di 2/3 secondi) Non è così. Tutti i capi presenti nel mio allevamento sono dichiarati e controllati ogni sei mesi dai veterinari dell’ASP. Se solo uno di loro risultasse infetto, nel dubbio, non mangerei carne, né berrei latte. Chi sugnu minchia!? (non sono uno scemo) Avvilinassi i ma niputi… (non avvelenerei mai i miei nipoti). Capisce perché è rischioso non avere un allevamento non in regola o avere a che fare con animali clandestini? Il rischio per la salute è per tutti, anche per noi che ci stiamo a contatto con questi animali. Lei pensa che la BRC la TBC ce la prendiamo mangiando la carne di quegli animali? Non hanno capito niente, anzi vogliono fare finta di non capire picchì ci cunveni.
Per gli animali che lei dice di macellare per uso casa, presenta denuncia di smarrimento? “Il più delle volte no. Sono animali piccoli ancora non registrati. Gli ovi-caprini alla nascita hanno un altro modo di essere dichiarati. Per i bovini è difficile, bisogna mettere subito bolo e bottone (marchio auricolare). Capretti e agnelli no. Anche da piccoli vengono mandati al macello “per partita” si dice. Noi qualche capretto ce lo teniamo, per uso casa come le dicevo, e non finisce sulle tavole dei consumatori”. Se macelliamo qualche vitellone, invece, dichiariamo la scomparsa. Ma spesso li macelliamo anche al macello perché possiamo farlo ed è anche comodo e conveniente.
Ma questa è una pratica in uso da lei o, che lei sappia, anche da altri allevatori? “Tutti accussi facimu. Lei chi pensa ca io, o gli altri allevatori, a carni n’accattamu na macelleria? Comunque, per sua conoscenza, le ASP ci autorizzano anche a macellare gli animali per uso personale. Con i dovuti controlli, è permesso. Consideri anche che non tutti gli allevatori sanno macellare gli animali. Ammazzare un animale è una cosa; macellarlo e lavorarne la carne è un’altra cosa”
Si parla di un pericoloso intreccio tra mafia, allevatori, veterinari compiacenti legati tra loro dalla macellazione clandestina, lei che ne pensa? “La mafia e i mafiosi sunu chiddi che criminalizzano i territori, chiddi chi criminalizzanu i più deboli e i più indifesi per fare carriera e picciuli. E mi fiermu ca! Qualche anno fa’, quando l’abigeato a la macellazione clandestina esistevano davvero, tutto questo clamore mediatico non c’era, nessuno ne parlava ed interveniva con forza per “sradicari” (eradicare) la piaga. Nessuno parlava e nessuno denunciava. Lo vuole sapere perché? Perché anche a denunciare non si concludeva niente. Anzi era persino pericoloso indicare un sospettato per paura di ritorsione. Ora, ca c’è u moriri (c’è crisi), che il fenomeno non desta nessuna preoccupazione, si fa un gran parlari e si accendono riflettori sul nulla. A forza di minchiati, corchidunu (qualcuno), ha fattu strata (carriera). E lei u sapi miegliu di mia (…e lei questo lo sa meglio di me).
A quale periodo si riferisce quando parla di qualche anno fa? “Anni 60, 70, 80. Dal 90 ad ora la cosa è andata sempre a diminuire. Allora si. Allora si che non si potevano lasciare animali incustoditi. Principalmente animali da carne. Ricordo da bambino – anni 50 – che mio padre mi mandava nei mesi più caldi a pàsciri (far pascolare) il mulo la notte. Dormivo con l’animale in aperta campagna con la corda legata al piede per paura che mi venisse rubato. Una volta, ricordo, a mio padre rubarono due vitelli la notte prima che gli stessi venissero portati in fiera per essere venduti. Il ricavato della vendita di quegli animali era frutto di sacrifici di un intero anno. Vivevamo nel terrore. Nell’angoscia di vedere svanire, da un momento all’altro il compenso di mesi di lavoro. Ora, paradossalmente, ci terrorizziamo quando vediamo i carabinieri e la polizia varcare la soglia delle nostre aziende. Non è assurdo? E la colpa è di questi personaggi che urlano e denunciano nelle televisioni e nei giornali reati inesistenti, come appunto la macellazione clandestina di animali infetti di cui parla lei, criminalizzando continuamente territori e allevatori. Anche tra gli allevatori ci sono mafiosi e delinquenti, ci nné malacarni, per carità, ma nella stessa misura degli altri settori e comparti. Quello che passa, grazie alla propaganda di qualcuno, che le menti criminali in Sicilia sono solo da ricercare nel nostro settore ed vicino a ciò che gira intorno ad esso”.
Nell’ambito della nostra inchiesta sulla macellazione clandestina di animali infetti in Sicilia abbiamo chiesto un parere anche ai medici veterinari, sia dipendenti ASP che liberi professionisti. Tutti quelli intervistati affermano che il fenomeno, oltretutto con i numeri che riportano i giornali, non esiste. “Ma quale intreccio tra mafia, allevatori, veterinari compiacenti… ma stiamo scherzando – registriamo dalla viva voce di un medico veterinario dipendente dell’ASP di Catania. Le cifre rese note o messe a disposizione dalla Regione si devono saper leggere. Non possono essere copiate e trascritte sui giornali senza sapere quello che accade nelle aziende, nei territori. Senza conoscere cosa c’è dietro al mestiere, le vicissitudini dell’allevatore. Proprio ieri un pastore mi raccontava di un branco di cani randagi che in due giorni hanno ucciso 3 agnelli e ferito in modo grave 1 pecora del suo gregge. Come avviene, spesso, in questi casi, la pecora in fin di vita non è stata curata, ma soppressa. Secondo lei l’allevatore ha dichiarato la morte dei 4 capi o lo smarrimento?”
Non lo so, me lo dica lei. Lo smarrimento, la mia era una domanda retorica. Di casi come questi, in tutta la Regione, nell’arco di un anno ne accadono centinaia. E centinaia sono gli allevatori che dichiarano la scomparsa anziché la morte, spesso abbandonando i capi lì dove si trovano alla mercé di animali selvatici che nel giro di niente non lasciano nemmeno le corna. La sparizione spesso viene denunciata dopo giorni.
“Ho letto cose assurde sull’abigeato e sulla macellazione clandestina di animali infetti in Sicilia – ci racconta un altro medico veterinario ASP della provincia di Palermo. Ho letto di allevatori costretti a vendere i capi ai macelli della mafia, di abigeato che mette a rischio la sicurezza alimentare, di servizi veterinari che costringono gli allevatori a fare denuncia di smarrimento degli animali trovati morti al pascolo, di macellazione abusiva per giustificare allevamenti fantasma. Storie. Solo storie gonfiate all’inverosimile senza alcun elemento che possa dimostrare qualcosa reati o comportamenti pericolosi che potrebbero riflettersi negativamente sui consumatori. Storie messe artatamente in circolazione da qualcuno che ha bisogno di visibilità perché, diciamocelo chiaramente, per fare carriera c’è bisogno di visibilità. L’abigeato e la macellazione clandestina esistono, per carità, ma niente che si avvicina ai numeri pubblicati sui giornali. Non si può partire dai numeri della banca dati o sciorinare presunti dossier secretati risalenti a non si sa quando e istruiti da chi sa chi e immediatamente trarre conclusioni e creare non solo allarme pubblico ma un danno all’immagine e all’economia dei nostri territori che neppure riescono ad immaginare. Il furto di bestiame di allevamento era un vero business per la criminalità organizzata, ma fino a qualche decina di anni a dietro”.
“Non esiste nessun pericoloso intreccio tra mafia, allevatori e veterinari – afferma un altro medico. L’unico disegno criminale che vedo da qualche tempo è quello messo in piedi da personaggi indefinibili che fanno continuamente pressioni sulle varie Procure, affinché vengano avviati controlli più stringenti negli allevamenti e nei macelli, e in generale sull’intera filiera agro-alimentare, danneggiando la stessa e seminando terrore. La parolina “mafia” inserita in qualsiasi contesto o fenomeno, esistente e non in Sicilia, è la ciliegina sulla torta. Crea quel clima di orrore ed indignazione che suscita l’interesse di tutti e fa audience. Ma la “mafia”, di cui stiamo discutendo adesso, del cui termine si sta abusando troppo, stranamente non spaventa la gente onesta e perbene. Oggi a spaventare la gente perbene è l’antimafia, quella falsa e di carriera”
Parliamo di numeri e di macellazione clandestina. Lei è un medico veterinario prossimo alla pensione, quindi con tanti anni di esperienza alle spalle. L’Osservatorio nazionale zoo-mafia parla di 150 mila capi spariti in Italia. In Sicilia, prendendo in esame le denunce di smarrimento, viene denunciata la sparizione di migliaia di capi. Noi, numeri alla mano, abbiamo dimostrato che il fenomeno non riguarda né la popolazione bovina-bufalina, né tantomeno quella ovi-caprina. Secondo lei c’è un concreto allarme legato alla macellazione clandestina di animali infetti e, di conseguenza, un pericolo per la salute pubblica?
“Se parliamo di macellazione clandestina di animali infetti, relativa alla popolazione bovina-bufalina ed ovi-caprina, non c’è nessun allarme, perché non esiste il fenomeno di base. Non c’è nulla di cui bisogna assolutamente preoccuparsi. Un fenomeno fuori controllo invece è quello che riguarda la carne di maiale selvatico che arriva sulle tavole dei siciliani. Sono tanti adesso i cacciatori, nell’ambito della concreta azione contro l’invasione della specie selvatica, autorizzati ad eseguire interventi di abbattimento. La caccia ritenuta sana è di proprietà dei cacciatori che possono commercializzarla come vogliono. In teoria i suidi abbattuti dovrebbero essere sottoposti a controlli sanitari rigidi da parte delle ASP. Ma questo non sappiamo se avviene. Sono rarissimi i casi in cui veterinari delle ASP controllano la cacciagione. Eppure i maiali selvatici, come anche i daini, sono portatori di tubercolosi, la malattia infettiva contagiosa che determina lesioni nodulari di tipo granulomatoso, conosciute come tubercoli localizzati in diversi sedi. Un’infezione che piò avere ripercussioni sulla salute umana. Ecco di cosa dovrebbero preoccuparsi gli “scienziati” che cercano visibilità nei giornali e nelle televisioni. Dovrebbero occuparsi dell’invasione dei suidi che per contatto diretto con altri animali, oppure mediante acqua o alimenti infetti, possono trasmettere malattie e mettere a repentaglio la salute pubblica. Loro sono il pericolo numero 1. Ma nell’invasione della specie selvatica non c’è “mafia”, e quindi… Quindi meglio lasciar perdere il pericoloso fenomeno legato alla commercializzazione di carni di maiali selvatici non controllati e parlare di macellazione di animali infetti, di macelli clandestini e di dossier e di pericoloso intreccio tra mafia, allevatori, veterinari compiacenti. Cazzate insomma”.
Al dott . Nicola Barbera, Presidente dell’Ordine dei Veterinari di Messina, abbiamo chiesto: Quanti e quali vantaggi potrebbe trarre un medico veterinario “compiacente” nel falsare i risultati di un prelievo, facendo risultare sani animali che in realtà sarebbero infetti?
“Un medico veterinario che falsasse i risultati di un prelievo, in particolare per patologie gravi come brucellosi e tubercolosi, non trarrebbe alcun vantaggio concreto e lecito. Anzi, si esporrebbe a gravissimi rischi, sia a livello professionale che penale. Danno all’immagine professionale: La professione veterinaria è basata sulla fiducia del cliente e sulla tutela della salute pubblica. Falsare un risultato significherebbe tradire questo principio fondamentale e compromettere irreparabilmente la propria reputazione.
Rischio per la salute pubblica: La brucellosi e la tubercolosi sono zoonosi, ovvero malattie trasmissibili dall’animale all’uomo. Falsare un risultato significherebbe mettere a rischio la salute di consumatori, allevatori e di tutta la comunità. Danno economico: Un focolaio di queste malattie comporterebbe ingenti costi per l’eradicazione, perdite economiche per gli allevatori e danni all’immagine di un territorio”.
Quanti medici veterinari sarebbero disposti a fare una cosa del genere? “È altamente improbabile che un numero significativo di medici veterinari sia disposto a rischiare la propria carriera e la propria libertà per un vantaggio economico o di altro tipo, del tutto irrazionale e sproporzionato rispetto ai rischi. La maggior parte dei veterinari è profondamente responsabile e si attiene scrupolosamente alle norme etiche e alle leggi vigenti”.
Cosa rischierebbero? Il rischio è proporzionato? “I rischi per un veterinario coinvolto in attività illecite come quelle descritte sono molteplici e gravi: Sanzioni disciplinari: La professione veterinaria è regolamentata da un ordine professionale che può infliggere sanzioni disciplinari, fino alla radiazione dall’albo, a chi viola il codice deontologico. Reati penali: Falsare un documento ufficiale, è un reato penale punibile con la reclusione. Inoltre, la diffusione di malattie infettive è anch’essa un reato. Responsabilità civile: In caso di danni a persone o animali causati dalla diffusione di malattie infettive, il veterinario potrebbe essere chiamato a rispondere civilmente.
In conclusione, l’ipotesi che un numero significativo di veterinari sia coinvolto in attività criminali come la macellazione clandestina di animali infetti è del tutto infondata. Le normative vigenti, le implicazioni etiche e i rischi connessi rendono tale scenario altamente improbabile. Non si può certo escludere il caso singolo di un professionista con la p minuscola che possa macchiarsi di un reato; ma ritengo che questo valga per qualunque mestiere e dunque non è certamente un campanello d’allarme per la categoria. È fondamentale sottolineare che tali accuse, se infondate, possono ledere gravemente la reputazione di un’intera categoria professionale e creare allarme ingiustificato nella popolazione. È opportuno, quindi, che le indagini siano condotte con la massima accuratezza e che si basino su prove concrete e circostanziate, evitando generalizzazioni e accuse infondate. Sarebbe utile, inoltre, che i media si attengano a un’informazione corretta e responsabile, evitando di diffondere notizie allarmistiche che possano creare un clima di sfiducia nei confronti della professione veterinaria. È importante tutelare la credibilità di una professione che svolge un ruolo fondamentale nella tutela della salute pubblica e del benessere animale. E’ importante capire che i medici veterinari non sono il problema ma semmai sono parte della soluzione”.
“La macellazione clandestina, in particolare degli animali infetti, in Sicilia non esiste, e vi spiego perché”. Cominciano così le considerazioni del responsabile del macello di Gangi, nelle Madonie, Marco Mocciaro, al quale sul paventato fenomeno abbiamo fatto qualche domanda. “Partiamo dal fatto – afferma il direttore del macello – che un animale in capo ad un’azienda, dichiarato infetto dal servizio veterinario pubblico, non può per nessunissima ragione sparire dai radar dell’allevatore. Se la cosa dovesse avvenire, essendo l’allevatore l’esclusivo responsabile della custodia dell’animale, considerato a rischio per la potenziale diffusione della malattia, risponderebbe penalmente della mancata custodia. Un allevatore al quale viene riconosciuto infetto un capo, solo ed esclusivamente a seguito dell’intervento del servizio veterinario, gli viene notificato l’ordine di abbattimento a stretto giro. Abbattimento che dev’essere eseguito al macello. A macellazione avvenuta la struttura comunica all’anagrafe animali l’avvenuta macellazione del capo. Se all’anagrafe animali, già a conoscenza dell’animale infetto e dell’ordinanza di abbattimento, non arriva la nostra comunicazione, scatta l’allarme e per l’allevatore sunu pira (… per l’allevatore sono guai sei).
Un capo infetto che arriva al macello da noi viene sottoposto a visita ispettiva da parte del medico veterinario, presente nella nostra struttura dall’inizio alla fine delle macellazioni. Se il medico, dallo stadio della malattia, dichiara la carne idonea al libero consumo, perché la malattia segnatamente riguarda alcuni organi (che chiaramente verranno distrutti,) la carne all’allevatore viene pagata allo stesso prezzo di quanto viene pagata la carne di un animale considerato sano. In più al proprietario del capo abbattuto perché’ affetto da tubercolosi, da brucellosi e da leucosi enzootica dei bovini, verrebbe riconosciuta un’indennità.
“Se parliamo di macellazione clandestina di animali infetti, o di possibili animali infetti, dobbiamo escludere bovini-bufalini e ovi-caprini, perché, per questi animali, il fenomeno è inesistente. Numeri, report, denunce alle procure, interrogazioni parlamentari, sono solo azioni e inserzioni pubblicitarie”E’ quanto affermato da un altro responsabile di un macello in provincia di Catania (che preferisce preservare il proprio anonimato) il quale, d’accordo con quanto afferma qualche allevatore e qualche medico veterinario, ci dice che se di macellazione clandestina e di pericolo per la salute pubblica dobbiamo parlare, dobbiamo accendere un faro su tutt’altra parte: sui suini selvatici e sui daini.
Sulla stessa linea d’onda è il responsabile di un macello ricadente nell’area dei Nebrodi il quale, nell’intervista, ci fa un quadro preciso. “Il sistema allevatoriale siciliano, e nello specifico dei Nebrodi, si può dichiarare effettivamente fallito, e questo lo si deve per una grande percentuale alla cattiva gestione del sistema sanitario”. Ci racconta il direttore del macello che preferisce rimanere anonimo. “In particolare, la cattiva gestione della emergenza peste suina e suidi selvatici, ha dato il colpo di grazia agli allevamenti di suino nero dei nebrodi. Nel merito: un allevatore di suino nero dei nebrodi, serio, deve allevare il proprio animale per 14/18 mesi, provvedendo al cibo, all’acqua, ai vaccini, garantendo una visita al giorno per il benessere animale, alla corretta identificazione, a una doppia recinzione che ne garantisca il contenimento e una barriera di biosicurezza che non gli permetta di avvicinarsi ai suidi selvatici. Passati i 18 mesi, sempre il nostro allevatore, deve contattare il servizio veterinario e richiedere l’autorizzazione alla macellazione. Entro 24/48 ore il servizio veterinario deve effettuare la visita in allevamento e se tutto va bene autorizza il trasporto verso il mattatoio, con trasporto autorizzato che rispetti tutte le regole in materia sanitaria e sul benessere animale. Giunti al mattatoio, i suini vengono posti a controllo sanitario e identificativo, dal medico veterinario. Dopo la verifica vengono abbattuti con metodi di stordimento che riducano il minimo lo stress e le sofferenze dell’animale stesso. Le carcasse vengono sopposte a visita ispettiva e verificate per tubercolosi o altre malattie infettive. Viene prelevato un campione di carne e inviato all’istituto Zooprofilattico per le varie analisi, in particolare la ricerca di trichinella. Le carcasse campionate vengono sequestrate e poste in una cella a temperatura controllata per 12/24 ore, in attesa dell’esito degli esami di laboratorio. Solo dopo l’esito negativo le cacasse vengono trasportate con mezzo autorizzato, a temperatura controllata e in regola con tutte le varie normative igienico sanitare.
In barba a tutto questo, il decreto assessoriale n. 318/2022 della Regione Siciliana prevede che un animale cacciato, venga squartato, eviscerato e dissanguato direttamente nel bosco. Gli animali dovrebbero essere trasportati presso un impianto di macellazione o un centro di lavorazione di selvaggina autorizzato, sopposti a visita post-mortem, agli accertamenti sanitari e alla ricerca di trichinella. Nulla di tutto ciò è stato fatto, più di 2000 capi di suini abbattuti a caccia sono stati immessi sul mercato senza essere condotti ai mattatoi o ai centri di lavorazione. In barba a qualsiasi regola sanitaria e alla tutela del consumatore. Quanti suidi (probabilmente ndr) affetti da tubercolosi sono stati immessi direttamente sul mercato, con avallo di tutte le varie autorità sanitarie? Quante carcasse hanno raggiunto la macelleria senza che i campioni da analizzare abbiano raggiunto l’istituto zooprofilattico? Una squadra di 3 cacciatori in poco meno di tre mesi ha immesso sul mercato, sulla carta, più di 200 capi. A una media di 80 kg a capo e 3,00 Euro al kg hanno incassato 48.000,00 euro, senza fattura e senza controlli. Per quale motivo un allevatore dovrebbe continuare la sua attività e sottostare a tutte le varie regole? Di fatto è stata autorizzata la macellazione clandestina. E le prove sono sui tavoli del servizio veterinari. Vi sono i report di catture dei vari cacciatori e i numeri sono mooolto superiori a quelli permessi dal decreto assessoriale”.
Abbiamo intervistato il dott. Santi Roberto Condorelli, Procuratore Aggiunto del Tribunale di Caltanissetta. Il magistrato che in DDA si è occupato di criminalità organizzata ad Enna sin dai tempi in cui il rappresentante provinciale di Cosa Nostra era Raffaele Bevilacqua.
“Come DDA seguiamo sia il territorio di Caltanissetta sia il territorio di Enna, ma anche Gela e Mazzarino. Non c’è un vero e proprio allarme legato alla macellazione clandestina, tantomeno alla macellazione clandestina di animali infetti. Al momento non abbiamo riscontrato problematiche del genere o di mafiologia legata all’evento criminale. Che poi negli anni passati ci siano state operazioni di Polizia, anche della DDA, in determinati territori siciliani, dove sono stati contestati reati come l’abigeato e la macellazione clandestina, questo glielo confermo. Alcuni gruppi criminali operavano nei territori dell’ennese e del catanese, tra Enna e San Michele di Ganzaria. Gente, vicino a Cosa Nostra rubava mucche, pecore, cavalli… Il fenomeno interessava principalmente alcune aree dell’ennese, ma non tutte. I territori dove insiste la principale riserva criminale, per citarne qualcuno Barrafranca, Pietraperzia, Gela non amano questi tipi di attività criminale, per quanto ci risulta. Non escludo che il fenomeno possa esistere e sia stato mascherato, ma noi non abbiamo alcun riscontro”. Dottore a voi risulta l’allarme legato alla macellazione clandestina ad infiltrazioni mafiose nella filiera delle carni che poi arrivano sulle tavole dei siciliani? “No, a noi non risulta nessun allarme di questo tipo”.
Quello che è emerso dalla nostra inchiesta, cominciata qualche mese fa per approfondire il fenomeno legato alla macellazione clandestina di animali infetti, e gli interessi della criminalità organizzata nel settore, è l’assenza totale del fenomeno, appunto, “macellazione clandestina di animali infetti”, dei presunti interessi economici legati alla commercializzazione di carne bovina e ovi-caprina proveniente da macelli clandestini, che, infetta o non infetta, potrebbe destare preoccupazione per filiera agro-alimentare. Peregrinando per territori e aziende zootecniche siciliane abbiamo però riscontrato una problematica che se non affrontata nel giusto modo e in tempi brevi, potrebbe dar vita a un’emergenza sanitaria seria che metterebbe a repentaglio la salute dei siciliani. Parliamo dell’invasione incontrollata di daini e maiali selvatici e la “commercializzazione” delle loro carni, senza i dovuti controlli. Benché la legge li preveda. Abbiamo riscontrato un allarme sanitario legato alla tubercolosi bovina che raffigura una delle minacce più infide per la salute degli animali. Una situazione di rischio sanitario e, conseguentemente, il notevole impatto socioeconomico sui territori e sulle filiere zootecniche e agroalimentari. L’abbattimento di migliaia di capi di bestiame che vengono soppressi per prevenire la diffusione della malattia. Una macellazione “forzata” che se protratta ancora per molto cagionerà danni irreversibili ad un comparto già provato. Non abbiamo riscontrato un preoccupante e sconsiderato smarrimento di capi di bovini e ovi-caprini, che darebbe vita ad “interessi economici legati alla criminalità organizzata, a pericolosi intrecci tra mafia, allevatori e veterinari compiacenti”. Non abbiamo riscontrato un significativo fenomeno di macellazione clandestina di animali infetti ed infiltrazioni mafiose nella filiera delle carni di bovini e ovi-caprini con conseguente pericolo per la salute dei siciliani. Abbiamo parlato e guardato negli occhi chi vive questo settore, ascoltato racconti di vita, problematiche e vicissitudini di molti allevatori dai quali abbiamo appreso l’adozione di pratiche lecite e qualche volta anche poco lecite nel tentativo di barcamenassi per portare avanti la propria azienda, ma niente che possa allarmare. Abbiamo toccato con mano la dedizione e il sacrificio degli allevatori, la passione che li spinge, con ostinazione e orgoglio, a continuare a vivere le nostre aree interne, a continuare a produrre nonostante le evidenti condizioni di disagio, a credere ancora che qualche politico possa prendersi cura di questo settore e di questi territori difficili. Abbiamo accertato un servizio veterinario competente e all’altezza. Non sempre pronto e tempestivo, ma sicuramente all’altezza, in empatia con gli allevatori al solo scopo di salvare il salvabile e mitigare gli effetti economici derivanti dai gravi danni prodotti dalle malattie. Abbiamo dato voce a tutti e spazio a un argomento delicato per tranquillizzare i siciliani che le carni che arrivano nelle loro tavole, provenienti da allevamenti bovini ed ovi-caprini, sono sicuramente controllate, con scrupolo e professionalità.