Mafia dei pascoli, altri 35 avvisi di conclusione indagini

di Giuseppe Salerno
23/10/2023

A quasi un anno di distanza della sentenza del maxiprocesso Nebrodi sulle truffe agricole della cosiddetta “mafia dei pascoli”, sui clan dei gruppi tortoriciani, i Batanesi e i Bontempo Scavo, che ha fatto registrare seicento anni di carcere e oltre 4 milioni di confische decisi dai giudici del Tribunale di Patti, con 91 condanne e 10 assoluzioni, si apre un nuovo filone della maxi inchiesta che vede oggi indagati 35 soggetti, residenti nel comprensorio nebroideo, destinatari di avviso di conclusione indagini emesso dalla Procura della Repubblica di Messina – Direzione Distrettuale Antimafia.

Le accuse contestate agli indagati spaziano dell’associazione a delinquere di stampo mafioso, operante nella fascia tirrenica della provincia di Messina, finalizzata – mediante la forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo – alla commissione di una indeterminata serie di delitti, anche contro il patrimonio (tra cui le truffe – aggravate perpetrate anche mediante intestazioni fittizie di imprese – a danno dell’Unione Europea e dell’AGEA, nonché al controllo, in modo diretto o indiretto, di attività economico/imprenditoriali, di concessioni e autorizzazioni, e comunque alla realizzazione di profitti e vantaggi ingiusti per se e per gli altri.

Un altro filone che mira a dimostrare sempre la stessa cosa: come, nell’area nebroidea, organizzazioni criminali cercano di espandersi «nell’illecito accaparramento di finanziamenti pubblici destinati al settore agro-pastorale», come afferma la storica sentenza – ancora di primo grado – pronunciata dai giudici pattesi il 31 ottobre 2022 scorso, che condanna 91 soggetti.

I metodi sempre gli stessi: minacce, intimidazioni in stile mafioso, connivenza tra criminali e pubblici ufficiali, che dovrebbero gestire le procedure per l’assegnazione dei terreni, che permetterebbero, come è già stato dimostrato nel maxiprocesso Nebrodi, di aggiudicarsi milioni di euro di contributi europei per l’agricoltura. Il principale anello debole  della catena del controllo pubblico sull’erogazione dei fondi, secondo gli investigatori, sono i Centri di assistenza agricola (Caa). In Italia, rappresentano l’anticamera da cui passare per presentarsi all’Unione europea come legittimi pretendenti di quei contributi che, sulla carta, dovrebbero sostenere gli agricoltori e contrastare l’abbandono delle aree rurali.

Dalle indagini effettuate nel troncone principale dell’inchiesta, è già emerso che diversi responsabili dei Caa hanno aiutato i condannati a individuare le particelle di terreno, sia private che demaniali, per le quali chiedere i sussidi previsti dalla Politica agricola comune (Pac) dell’Unione europea. L’aggressione ai fondi europei è passata dallo sfruttamento di terreni intestati a soggetti deceduti, emigrati all’estero o semplicemente ignari della possibilità di finanziamento, oppure, nel caso di aree pubbliche, puntando sulla disattenzione degli enti gestori.

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