Mafia dei pascoli, Lumia chiede al ministro monitoraggio su comuni e aziende

Palermo – Avviare un’azione di monitoraggio tra i vari enti pubblici che sono preposti alla governance degli affitti dei terreni e delle erogazioni pubbliche in Sicilia e su tutto il territorio nazionale. Capire se è stato avviato un monitoraggio più mirato sui titolari delle aziende agricole, che hanno subito l’interdittiva antimafia per evitare che possano continuare a gestire in altri territori e con altri enti pubblici terreni in affitto e risorse pubbliche e comunitarie. Sono le richieste contenute in una interrogazione al ministro dell’Interno presentata nei giorni scorsi dal senatore Giuseppe Lumia.

Il senatore torna ancora una volta sul tema della mafia dei pascoli o dei terreni, come la definisce lui stesso: “La “mafia dei terreni” – dice – infatti, è una mafia ricca, potente ed organizzata intorno a colletti bianchi in grado di pianificare una truffa molto redditizia alle risorse pubbliche ed europee che movimentano miliardi di euro con profitti illeciti che superano di gran lunga quelli lucrosi della droga. È una mafia pertanto, da non classificare più come quella superata e arretrata, dei “pascoli”, ma va pensata e riconosciuta in termini più attuali: una mafia che sa coniugare affari, collusioni e ricchezze moderne senza perdere il carattere della violenza antica, tipica proprio della passata mafia dei pascoli”.

Lumia parte dall’operazione Nebros condotta dalla Guardia di finanza di Enna che si è chiusa con la denuncia di due allevatori: questa operazione “conferma – si legge nell’interrogazione – sul piano penale quanto emerso sul piano dell’interdittiva antimafia in ambito amministrativo e costituisce un ulteriore passo in avanti nel cammino di legalità e sviluppo portato avanti nel Parco dei Nebrodi, sotto la guida del suo presidente, Giuseppe Antoci, che a causa di questa azione di prevenzione antimafia senza precedenti, ha subito un gravissimo attentato, con un conflitto a fuoco che ha messo in serio pericolo la sua stessa vita, quella del personale della scorta, del commissario di Polizia Manganaro, dell’agente di Polizia, Granata, che con il loro coraggioso intervento sono riusciti a sventare il vile attacco armato”.

Nei giorni scorsi, prima che il senatore Lumia presentasse l’interrogazione,  Antonio Mancuso, avvocato dei due allevatori aveva diffuso un comunicato stampa di cui parliamo qui. E oggi ribadisce: “Ho appreso leggendo il vostro giornale dell’esistenza di una interrogazione. Dico però che esiste un documento della prefettura di Messina da cui si evince che i miei assistiti non sono fiancheggiatori di nessuno”.  A supporto l’avvocato mostra anche  il documento da ci si evince che sulla base di approfondite verifiche “Non sono emersi collegamenti dei due fratelli con alcuna organizzazione criminale”.

Ma per Lumia i fatti sono diversi. E lo racconta nell’atto parlamentare. Secondo il senatore del Partito democratico, “nell’operazione “Nebros”, la famiglia coinvolta è quella dei Musarra Pizzo ed è costituita in particolare dai due fratelli allevatori, Giuseppe, nato a Tortorici il 29 maggio 1963 e Sebastiano, nato a Tortorici il 28 aprile 1957”. Per Lumia non ci sono dubbi:  i due apparterrebbero alla famiglia mafiosa dei Bontempo. “Sebastiano – si legge nell’interrogazione –  risulta residente a Sant’Agata di Militello, mentre l’altro fratello a Tortorici. Tutti e due sono stati colpiti da interdittiva antimafia della Prefettura di Messina nel dicembre 2015, per la partecipazione al bando per la concessione dei terreni della silvo pastorale di Troina (Enna). Giuseppe è stato anche proposto, in passato, alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, da parte della Procura della Repubblica di Caltagirone, risulta inoltre, avere precedenti penali per falso, truffa nelle erogazioni pubbliche, detenzione abusiva di armi, diffusione di malattie degli animali e macellazione clandestina, frode processuale, calunnia, falso in atto pubblico. Entrambi – continua Lumia – vantano serie frequentazioni mafiose. Gestiscono insieme circa 1.000 ettari di terreni, tra silvo pastorale e Demanio forestale e nonostante le interdittive antimafia, sembra che continuino ad usufruire dei terreni revocati per chiedere i contributi. Entrambi i fratelli sono abili a raggirare la legge con la presentazione di domanda unica di accesso alla riserva nazionale per le zone svantaggiate, caricando nel fascicolo aziendale le particelle revocate a seguito di interdittiva. Gli affari per i Musarra Pizzo rappresentano un business fondamentale: gli affitti dei terreni infatti, hanno reso a ciascuno, solo negli ultimi 3 anni, un guadagno di circa 600.000 euro”.

In questo caso, spiega Lumia, “La gestione lucrosa ed illecita dei terreni demaniali avveniva intorno all’azienda speciale silvo pastorale di Troina (Enna) che comprende ben 4.000 ettari di terreno nei comuni di Troina (Enna), Cerami (Enna) e Cesarò (Messina), terreni tutti ricompresi nel territorio del parco dei Nebrodi. I titolari delle aziende agricole prendevano in affitto ettari ed ettari demaniali, aggirando i controlli antimafia, perché la legge prevede, ai sensi dell’art. 83, comma 1, del decreto legislativo n. 159 del 2011, l’obbligo di acquisire la documentazione antimafia prima di stipulare contratti per una soglia di 150.000 euro. Questa soglia è stata eliminata grazie ad un Protocollo di legalità stipulato presso la Prefettura di Messina il 18 marzo 2015 tra il prefetto, il presidente del parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, i sindaci del parco, il commissario dell’ente sviluppo agricolo (ESA), Francesco Calanna e il presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta. Il documento ha consentito di chiedere la certificazione antimafia anche per i contratti inferiori a 150.000 euro e per i contratti già presentati, portando a più di 20 interdittive per infiltrazioni mafiose ed avviando l’emersione di una realtà dove le mafie regnavano sovrane, con un giro di affari superiore allo stesso traffico di cocaina. Ciò ha permesso inoltre, di liberare energie positive rappresentate da imprenditori onesti, molti di loro giovani, che nel passato gli era impedito di fatto di accedere a tali opportunità.  Da un calcolo approssimativo, considerando una serie di contributi pubblici per un totale di 1.300 euro l’ettaro, per il numero di ettari gestiti, nei prossimi 5 anni, il gruppo dei Musarra, a seguito delle interdittive, potrebbe perdere di facile utile, addirittura una somma di circa 5 milioni di euro”.

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Pubblicato da
Salvo Lapietra