Mafia: esce dal carcere Giovanni Sutera, il killer di Graziella Campagna
Graziella Campagna è un nome che ai più non dice nulla, purtroppo. Ma la sua è la storia di una vittima di mafia. Non era un magistrato, una giornalista, un’imprenditrice, una politica, una sindacalista. Aveva solo 17 anni e lavorava, in nero, come stiratrice in una lavanderia. Ma Cosa nostra l’ha ugualmente uccisa in modo brutale, perché non esiste nessun millantato codice d’onore che risparmi donne e bambini tra i boss.
Nata il 3 settembre del 1968 a Saponara, in provincia di Messina, in una famiglia numerosa (erano 7 tra fratelli e sorelle), abbandona gli studi per trovare un lavoro e contribuire alle spese di casa. Diventa stiratrice nella lavanderia “La Regina” di Villafranca Tirrena, un paese vicino che raggiunge ogni giorno in autobus. Un impiego in nero e mal retribuito: solo 150mila lire al mese. Ma Graziella è felice di poter aiutare la famiglia come può.
Tra i clienti abituali della lavanderia spiccano l’ingegner Toni Cannata e il geometra Gianni Lombardo: quasi quotidianamente si recano nell’esercizio commerciale e scherzano con le commesse. Toni Cannata, però, non è chi dice di essere: in realtà si chiama Gerlando Alberti junior. È un boss latitante da 3 anni, nipote di Gerlando Alberti senior (detto “U paccarè”) boss e braccio destro di Pippo Calò, arrestato anni prima dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Anche il collega Lombardo cela la sua vera identità: è Giovanni Sutera, ricercato per omicidio, associazione mafiosa e traffico di stupefacenti.
Un giorno Graziella nella tasca di un indumento lasciato da Cannata, trova una piccola agendina. Raccoglie nomi e contatti telefonici. Ma più di tutto è la prova che smaschera la falsa identità del latitante. La mostra alla collega Agata Cannistrà che la toglie immediatamente dalle sue mani e la fa sparire. La macchina per eliminare Graziella è ormai entrata in moto. Agli occhi dei boss non è solo colpevole di aver ritrovato, per caso, un’agendina. È anche la sorella di un carabiniere, un elemento che fa gridare al pericolo i due latitanti. Piero, uno dei fratelli di Graziella, è un militare dell’Arma in servizio nella compagnia di Gioia Tauro. Per Alberti jr. e Sutera il rischio che la 17enne possa confidarsi con lui è troppo grande.
La sera del 12 dicembre 1985, finito di lavorare, Graziella come sempre raggiunge a piedi la fermata del bus in via Nazionale. Ma non salirà sulla corriera. La madre, che l’attende a Saponara, non vedendola scendere dall’autobus insieme agli altri passeggeri capisce all’istante che qualcosa di grave deve esserle successo. La famiglia si dà subito da fare per ritrovarla, ma incontra un inaspettato ostacolo: i carabinieri. Per i militari della zona, infatti, Graziella sarebbe fuggita con un ragazzo. Si tratterebbe quindi solo di un’innocente fuitina. Una versione che i familiari smentiscono con forza: Graziella è una ragazza posata, mai un colpo di testa. E l’unico giovane che potrebbe avere dei legami sentimentali con lei in quel momento è a casa coi propri genitori e respinge le accuse. Non è sufficiente, i carabinieri insistono per la fuitina.
Il corpo di Graziella viene ritrovato due giorni dopo a Forte Campone, nel bosco di Musolino, su una collina tra Messina e Villafranca Tirrena. Rannicchiata vicino a un muro, indossava un giubbotto rosso con una maglia a righe, pantaloni neri e stivaletti. Come qualunque altra 17enne di ieri e di oggi.
La sera della sua scomparsa, Graziella era salita sull’auto di una persona che conosceva e di cui si fidava. È morta alle 21 di quel 12 dicembre, dopo essere stata fatta inginocchiare per terra. È stata trucidata da 5 colpi di lupara calibro 12 sparati a non più di due metri di distanza. Il braccio alzato, in un ultimo estremo e flebile tentativo di difesa contro la potenza dei proiettili, è stato raggiunto per primo insieme alla mano. Gli altri colpi l’hanno devastata alla spalla, al petto e al viso. La firma di un’esecuzione mafiosa in piena regola.
È stato il fratello Piero a riconoscere il corpo martoriato di Graziella. Rientrato da Gioia Tauro, aveva indagato e cercato la sorella da solo. E ha continuato anche dopo, per arrivare alla verità sulla morte della sorella. Ma il peggio, se possibile, deve ancora venire. L’attività investigativa e i processi successivi, infatti, sono contraddistinti da un’innumerevole serie di depistaggi che vede in campo falsi carabinieri, militari svogliati e magistrati distratti. Menzogne e deviazioni per coprire i due assassini e negare alla famiglia Campagna la consolazione di sapere in carcere chi ha soppresso con tanta efferatezza Graziella.
Nel 1988 Gerlando Alberti jr. e Giovanni Sutera vengono rinviati a giudizio. Il 28 marzo 1990, però, il pubblico ministero chiede al giudice istruttore di non procedere per questioni procedurali. Il movente secondo il quale Graziella Campagna sarebbe stata uccisa perché colpevole di aver scoperto la vera identità dei due imputati è giudicato debole. Nel 1996 una puntata di “Chi l’ha visto” riaccende le luci sulla vicenda; a dicembre il Tribunale di Messina riapre il caso.
Sono passati più di 20 anni dall’uccisione di Graziella. La Corte d’Assise di Messina condanna all’ergastolo Alberti jr. e Sutera in quanto esecutori materiali del delitto della 17enne. Agata Cannistrà e la titolare della lavanderia “La Regina”, Franca Federico, sono condannate a 2 anni di reclusione per favoreggiamento e per aver deviato le indagini. Sembra l’epilogo, ma la strada della giustizia è ancora tutta in salita. Solo un anno e mezzo dopo la condanna, infatti, Alberti jr. è libero. È il 4 settembre 2006. La motivazione suona beffarda: mancato deposito entro i termini delle motivazioni della sentenza con conseguente scarcerazione per decorrenza dei termini della custodia cautelare.
La famiglia Campagna è presa dallo sconforto, ma continua a combattere e a reclamare giustizia. Il 18 marzo 2008 Alberti e Sutera sono ricondannati all’ergastolo dalla Corte d’Assise d’Appello di Messina. Esattamente un anno dopo la Cassazione respinge il ricorso degli imputati e conferma il precedente verdetto. Nemmeno la condanna definitiva al “fine pena mai”, però, è sufficiente a mettere un punto alla vicenda giudiziaria. L’11 dicembre 2009, infatti, il Tribunale di Sorveglianza di Bologna concede i domiciliari nella casa di Falcone (in provincia di Messina) ad Alberti, giudicando le sue condizioni di salute non compatibili col carcere. Il 13 maggio 2010 la Cassazione annulla con rinvio il provvedimento di scarcerazione del boss. Il 15 dicembre dello stesso anno il Tribunale di Sorveglianza di Bologna rigetta la richiesta di differimento dell’esecuzione della pena per motivi di salute presentata da Alberti che, intanto, è stato ricondotto in carcere. Dove si trova tutt’ora.
E Giovanni Sutera? Dal 2015 al 2018 ha goduto della libertà condizionale. Il Tribunale di Sorveglianza di Firenze gli ha revocato i benefici che lo avevano rimesso in libertà solo dopo essere stato arrestato, a 60 anni, il 27 marzo 2018 nell’ambito di un’inchiesta per presunto traffico internazionale di stupefacenti, insieme al fratello Renato. Entrambi sono stati assolti con la formula de “il fatto non sussiste”. Sono, invece, ancora imputati in un processo per l’altra accusa che ha fatto scattare le manette ai loro polsi: quella di bancarotta fraudolenta nell’ambito delle indagini della Procura di Firenze sulle società che gestivano il bar Curtatone.
Notizia di oggi, Giovanni Sutera, per il momento detenuto a Sollicciano dove sta scontando l’ergastolo per l’omicidio di mafia di Graziella, uscirà dal carcere. Il killer ha ottenuto la semilibertà. L’assenso dei giudici del tribunale di sorveglianza è arrivato nei giorni scorsi, dopo un primo diniego risalente a oltre un anno fa. Durante la giornata il sessantenne potrà uscire dal carcere per andare a fare volontariato presso un’associazione di Firenze che fornisce assistenza agli anziani mentre la sera dovrà tornare in cella.