Il medico Francesco Mastroeni, primario di Urologia dell’ospedale Papardo di Messina, è stato sospeso per un anno dalla professione sanitaria in quanto accusato di aver intascato gli onorari dai pazienti senza versali nelle casse dell’ospedale pubblico in cui lavorava. Le indagini dei finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Messina con il coordinamento del pool di magistrati della Procura di Messina che si occupano di contrasto ai reati contro la pubblica amministrazione, attraverso l’acquisizione di documenti, attività di osservazione e pedinamento, ricostruzioni contabili e intercettazioni telefoniche hanno permesso di raccogliere indizi nei confronti del professionista.
La disciplina di settore dell’Alpi, cioè l’attività libero professionale espletata dal medico, legato all’azienda da rapporto di esclusività, fuori dall’orario di lavoro, su libera scelta e su richiesta dell’assistito pagante, oltre a dover essere oggetto di espressa autorizzazione ed a determinate condizioni, prevede, che l’utenza prenoti la visita tramite il Centro Unico di Prenotazione dell’ospedale e, prima della visita, il paziente provveda al pagamento all’ufficio ticket dell’importo dovuto, secondo un tariffario predeterminato dall’ospedale pubblico; a valle, il medico riceve, quindi, gli emolumenti di sua pertinenza direttamente in busta paga.
Dalle indagini, cominciate nel periodo della pandemia è invece emerso che il professionista, operante in un ospedale cittadino, legato all’azienda sanitaria da un contratto che prevedeva un rapporto di esclusività, effettuava visite specialistiche nel reparto che dirigeva, richiedendo e ricevendo da alcuni pazienti il pagamento in contanti delle relative visite specialistiche, di conseguenza omettendo di rilasciare qualsiasi ricevuta fiscale e di versare all’azienda sanitaria la percentuale dovuta.
Le indagini si sono concentrate proprio sulle fasi delle prenotazioni delle visite e della riscossione dei ticket, poi intervistando anche i pazienti che, nella quasi totalità dei casi, confermavano di aver effettivamente versato in contanti, nelle mani del professionista, importi dagli 80 ai 150 euro, senza aver effettuato alcuna prenotazione al Cup e senza ricevere, all’atto del pagamento, alcuna ricevuta delle somme pagate, quindi direttamente intascate dal medico.
I numerosi elementi di prova raccolti, pertanto, venivano sottoposti al Giudice del Tribunale di Messina che dopo averli vagliati ha ritenuto l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza, salvo diverse valutazioni giudiziarie nei successivi livelli e ravvisando il pericolo di recidiva per l’ipotesi di reato di peculato, ha disposto la misura cautelare della misura interdittiva della sospensione dall’esercizio della professione sanitaria per un anno.