Nicolò Parisi, 73 anni, è l’ultimo artigiano di Alcara Li Fusi. Un falegname in pensione, ma ancora iscritto all’Albo imprese artigiane, che non ha nessuna intenzione di mollare “l’arte senza tempo”, spinto dalla passione per la creazione di arredi in legno esclusivi.
Nonostante la veneranda età l’irreducibile falegname alcarese continua ad impegnarsi nella sua falegnameria creando sia oggetti funzionali che delle vere e proprie opere d’arte, non solo per impegnare il proprio tempo, ma anche per mantenere vivo, nel paesino dell’entroterra tirrenico, il mestiere più antico del mondo in via d’estinzione, vittima delle profonde trasformazioni tecnologiche e dei cambiamenti in stili di vita e di consumo. Ad Alcara Li Fusi, così come nel resto della Penisola, nell’arco di pochi anni si è assistito ad una vera e propria “emorragia delle imprese artigiane”. Le botteghe sono praticamente scomparse, niente falegnami, niente fabbri, niente calzolai… Alcuni perché non più richiesti, altri, invece, perché non c’è ricambio generazionale, e quando un artigiano in là con gli anni decide di chiudere, se non ha tramandato a qualcuno la sua “arte”, non c’è niente da fare: paese dopo paese, quartiere dopo quartiere, quell’attività scompare. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con il signor Nicolò al quale abbiamo fatto qualche domanda:
Signor Parisi, lei e l’ultimo falegname ad Alcara Li Fusi, che stà succedendo, perchè sta scomparendo l’arte della lavorazione artigianale del legno? Non è più redditizia l’attività che lei ha esercitato per anni, e continua ad esercitare per passatempo, o c’è dell’altro?
“L’artigianato, in generale, com’è ormai noto a tutti, non gode di buona salute. Tenere aperto un laboratorio come quello dove ancora trascorro buona parte delle mie giornate, rispetto agli anni passati, a quando ho iniziato a lavorare, costa 4/5 volte di più: tassazione e affitti in continuo aumento, l’esagerato costo della materia prima, calo generalizzato dei consumi per l’utilizzo di altri materiali oggi presenti sul mercato, industrie che offrono un vasto campionario di lavorazioni e soluzioni d’arredo per tutte le esigenze a meno prezzo, incidono e rischiano di compromettere inesorabilmente, uno dei settori tradizionali più antichi del mondo.”
Quindi, secondo lei, questo sarebbe il motivo per il quale i giovani non intendono investire sul mestiere di falegname?
“L’artigiano che lavora il legno per fabbricare o riparare mobili, infissi, e ogni altra cosa, prima di raggiungere certi livelli di professionalità, ha dovuto faticare parecchio. Le scuole, quando io ero poco più che ragazzino, erano le botteghe, le falegnamerie dove senza guadagnare nulla andavamo tutti i giorni per imparare l’arte. Tutti i giorni per parecchi anni. A me l’arte e la passione l’hanno trasferita mio nonno e mio padre entrambi falegnami. Oggi è impensabile che un giovane, in questa specifica area del territorio nebroideo, sempre più soggetta a spopolamento, possa ultimare la scuola dell’obbligo e iniziare una sorta di formazione che, in prospettiva, per quanto ci siamo già detti, non gli garantirebbe un futuro. Come è impensabile che un artigiano falegname, con i costi legati all’attività, potrebbe sobbarcarsi l’onere di garantire un salario dignitoso ad un giovane garzone al quale sta pure insegnando un mestiere.”
Lei, nonostante sia in pensione, continua ad occupare buona parte delle sue giornate a lavorare il legno, sarebbe disposto a mettersi a disposizione, gratuitamente, di qualche volenteroso al quale trasferire la sua arte?
“Sarei l’uomo più felice della terra se qualcuno venisse a bussare alla mia porta chiedendomi di voler imparare il mestiere di falegname. Mi metterei a disposizione immediatamente. E’ bello pensare di poter tramandare un’arte, un mestiere, tutto quanto c’è da sapere, per far continuare a vivere questa forma di artigianato che sta per scomparire.”
Basta solo un buon maestro e tanta pratica per diventare falegnami?
“E no, mio caro. Occorre passione per il legno, dedizione e trasporto per il nostro lavoro”