Continuano ad emergere particolari interessanti dall’ordinanza di misura cautelare emessa dalla sezione dei giudici per le indagini preliminari del Tribunale di Messina, che ha portato all’arresto di 94 persone accusate di truffa ai danni dell’Ue e che ha visto il coinvolgimento della mafia dei Nebrodi.
Negli atti dell’inchiesta dei magistrati peloritani, coordinati dal procuratore Maurizio De Lucia, che ha di fatto decapitato i clan dei Batanesi e dei Bontempo Scavo di Tortorici, spunta il nome di Michelangelo Mammana, (nella foto) noto imprenditore di Castel di Lucio. Il gip di Messina, Salvatore Mastroeni, nel dispositivo parla di propositi estorsivi, da parte di alcuni esponenti della famiglia mafiosa di Polizzi Generosa, a danno dell’impresa Mammana di Castel di Lucio e dell’azienda SIAR s.r.l. di Gioiosa Marea.
Nello specifico – si legge nell’ordinanza – Antonio Maria Scola e Antonio Giovanni Maranto, grazie all’opera di intermediazione intercorsa tra Giacomo Di Dio, inteso “Bonasira”, da una parte, e Giuseppe Costanzo Zammataro, inteso “Carrettiere“, dall’altra, il 28 marzo 2013 si erano incontrati a Tortorici con Vincenzo Galati Giordano, inteso “Lupin”, all’epoca considerato il reggente dei “Batanesi”, il quale manteneva rapporti e partecipava ad incontri con esponenti della mafia palermitana
L’incontro – secondo quanto riportato nel dispositivo – era finalizzato a far sì che “Lupin”e Maranto, il quale si era mosso con l’approvazione di Francesco Bonomo, reggente pro tempore del mandamento di San Mauro Castelverde, si conoscessero di persona. In quell’occasione, i due si confrontarono sui propositi estorsivi da portare a termine a danno anche dell’impresa Mammana di Castel di Lucio, tanto che Antonio Maranto, dopo l’appuntamento avuto a Tortorici, aveva rapportato il tutto a Francesco Bonomo.
Un anno prima di questo incontro, nel marzo del 2012, la ditta Mammana aveva subito due attentati incendiari, a danno di altrettanti pale meccaniche di proprietà dell’impresa. L’incendio, appiccato ai due escavatori, oltre a suscitare sdegno e preoccupazione tra gli abitanti delle tranquille comunità dell’intero hinterland, tenne con il fiato sospeso i lavoratori dell’Azienda che avvertirono la seria minaccia per la propria occupazione. L’impresa Mammana però non chiuse. Michelangelo – il titolare – nonostante tutto non molla, decise di non lasciarsi intimorire e andò avanti esportando la sua attività d’impresa al di là dei confini della Sicilia.
Dalle indagini, portate avanti dalla Compagnia Carabinieri di Mistretta e dalla DDA di Messina, non emerse nulla di importante e rilevante. Tuttavia – si legge nell’ordinanza – quella vicenda rimane senza prova di reati, ma dà contezza del rapporto esistente tra il sodalizio cui appartengono Scola, Maranto e Di Dio, ed i “Batanesi”, nonché dei primi con un Cammarata della provincia di Enna. Con i Cammarata risultano, nell’indagine, i rapporti del “carrettiere”.