Parco dei Nebrodi: trionfo della Natura

di Salvo Lapietra
25/08/2013

I Greci li chiamavano “terra dei caprioli”, da cui il nome “nebrodi” (dal greco “nebros”, capriolo), e se saprete essere pazienti e silenziosi, potreste avere la fortuna di vedere questi animali timidi e solitari che ancora popolano la zona intorno a Galati Mamertino nella contrada Miserella. Gli arabi, invece, definivano i Nebrodi “terra dei boschi”, la “vallis nemorum” da cui il nome di Valdemone di una parte dell’area. Non è dunque un caso che fauna e vegetazione siano le caratteristiche principali dei Nebrodi: un territorio di circa 200.000 ettari compresi fra Messina e Catania, nel nordest della Sicilia fra le Madonie e i Peloritani con i quali costituisce l’Appennino siculo. Carezzati dal Maestrale, profumati dalle brezze del Tirreno, nella loro struttura geologica non uniforme i Nebrodi presentano una varietà floristica e di vegetazione complessa che dalle faggete e i pascoli montani dei suoi quasi 2000 m, scende verso il mare passando per querceti e cerreti fino ad aprirsi sulla macchia mediterranea. Il Parco dei Nebrodi è la più grande area protetta della Sicilia

…ma anche dei cavalli…
Fa parte dei comuni del Parco il piccolo comune di San Fratello, un tempo chiamato Apollonia, le cui antichissime origini si fanno risalire alla storica “Alunzio”. Il nome del paese ha origine dai tre Santi fratelli, Alfio, Cirino e Filadelfio, martirizzati, sotto l’imperatore Valerio nel 312 d. C., cui sono dedicati la chiesa e il convento del secolo XII. Qui, ancora oggi, retaggio del passaggio dei Normanni è il particolare dialetto di origine gallo-italica, differente dal siciliano, le cui caratteristiche fonetiche rimandano alle lingue celtiche dell’italiano settentrionale. Noto per il riti della Settimana Santa, San Fratello lo è ancor di più per i suoi cavalli. Introdotti, forse, dagli arabi o dai normanni, se ne contano circa 3500 esemplari che vivono allo stato brado e sono utilizzati per il turismo equestre e l’escursionismo (foto: Esemplari di cavalli sanfratellani via www.parks.it)

…e dei suini.
Panorami, escursioni, caprioli, cavalli, lingue antiche: tutto molto bello, ma prima o poi arriva il momento di fare almeno uno spuntino, e i Nebrodi anche su questo lato non deludono. I prodotti tipici del territorio sono famosi e apprezzati non solo in tutta Italia ma anche nel mondo, e ben rappresentano la biodiversità locale. Fra mieli pregiati ottenuti grazie all’eccezionale varietà di piante e alberi, e vini le cui vigne crescono a 1250 m di altitudine, è però il suino nero il re indiscusso della fama agroalimentare dei Nebrodi. Maiale di taglia piccola e mantello scuro, molto simile al cinghiale, vive nei boschi ed è allevato allo stato semibrado in ampie zone adibite a pascolo. Il Nero dei Nebrodi, presidio Slow Food, dà carni di alta qualità dalle quali si ottengono il prosciutto crudo, il capocollo e la Fellata, salume tipico della Valle del Fitalia e della Valle del torrente Naso (foto: Il Suino Nero dei Nebrodi via www.parks.it)

A passeggio fra cubburi e castelli
Se gli appassionati di arte e architettura stanno già pensando che questi luoghi che esplodono di natura non facciano per loro, sbagliano di grosso: dall’antica architettura rurale ai castelli normanni, passando per i molteplici esempi di architettura religiosa e militare, il territorio offre uno spaccato di storia affascinante e interessante. Sicuramente da non perdere sono gli itinerari fra i cubburi, o “casotti”, costruzioni che rientrano nella più ampia categoria architettonica delle thòlos, costruiti con uno schema a pianta circolare e copertura a pseudo-cupola allestiti con filari di pietra concentrici a secco. Essi costituiscono una delle prime testimonianze architettoniche e si fa risalire la loro comparsa già in era megalitica. I percorsi attrezzati con pannelli informativi si trovano fra i comuni di  San Piero Patti, Montalbano Elicona, Raccuja, Ucria e Floresta

Viaggio al centro della terra

L’imponenza delle Rocche del Crasto, esempio più unico che raro di rocce dolomitiche nell’Italia Meridionale, toglie il fiato: per i panorami che offre e per la suggestione di trovarsi in un sito che risale all’era Mesozoica. Luogo di nidificazione dell’aquila reale, le Rocche accolgono anche la colonia degli avvoltoi grifoni. Ed è proprio in questo luogo incantato, che a 1132 metri s.l.m. si apre la Grotta del Lauro. Raggiungibile solo se escursionisti esperti e accessibile con l’ausilio di accompagnatori, la grotta regala l’emozione di trovarsi di fronte a stalagmiti e stalattiti di rara bellezza. Bisogna invece spingersi verso il comune di Acquedolci per visitare l’area archeologica “Grotta di San Teodoro”, dove sono presenti sepolture risalenti al paleolitico superiore e un deposito paleontologico, risalente a 200.000 anni fa, ricco di resti fossili di ippopotami nani. In questa grotta, visitabile solo con l’ausilio delle guide della Sovrintendenza, fu ritrovata Thea, una donna di circa 30 anni vissuta all’incirca 11.000 anni fa.

Bronte, fra ciclopi e pistacchi
“Adagiata ai piedi dell’Etna, su un ripido pendio a dominare la valle del Simeto, la leggenda vuole che sia stata fondata del Ciclope Bronte, figlio di Nettuno e operaio di Vulcano nella fucina di Mongibello. La storia, invece, ci dice che il territorio fu abitato da popolazioni preelleniche e poi, via via, da Sicelioti, Romani, Bizantini, Arabi e Normanni ed ebbe il suo massimo sviluppo intorno alla seconda metà del XVI sec.” Così si presenta Bronte, uno dei comuni del Parco che vanta un patrimonio storico-artistico di rilievo ma che è famoso nel mondo per il suo pistacchio.
Presidio Slow Food e dal 2009 anche DOP, il pistacchio di Bronte cresce solo sui terreni accidentati di quest’area e si distingue per il profumo quasi resinoso e per il colore verde brillante. A cavallo tra agosto e settembre, tutti gli abitanti si riversano nei loci (i pistacchieti) e iniziano la raccolta: fra massi di lava e terreni scoscesi, i pistacchi si prendono uno ad uno per un raccolto massimo giornaliero di 20 kg. Questo è il motivo per cui ha un costo più elevato da quelli provenienti da Iran, Turchia o America (foto: Pistacchio di Bronte appena raccolto – Fabio Ingrosso via Wikipedia).

La scrittrice e il Brigante
Fra le letture da fare per prepararvi al viaggio, e poi dopo per ricordare, vi sono i romanzi di Maria Messina. Nata ad Alimena (PA) il 14 marzo 1887, apparteneva ad una piccola borghesia che lei cercò sempre i immortalare nei suoi romanzi, tutti ambientati in Sicilia, e in particolar modo nei Nebrodi e a Mistretta, dove visse. Quel po’ che conosciamo di questa scrittrice, rappresentante femminile del verismo, lo dobbiamo ai carteggi con Giovanni Verga e con l’editore Bemporad. A riscoprirne l’opera fu poi Leonardo Sciascia nei primi anni Ottanta. Altra storia, contemporanea a quella della scrittrice, fu invece legata al nome di Biagio Valvo, brigante ricordato come il terrore dei Nebrodi e che fondò la Banda Maurina nel 1870. Non è arrivato molto fino a noi, ma se vi appassionano le storie di briganti, alla Biblioteca del Real Collegio Capizzi di Bronte è conservata una copia della Tribuna del 19 agosto 1894, dove si narra  de “La distruzione della Banda Maurina”(foto: Il Brigante Rinaldi della Banda Maurina – via www.mistretta.eu) .

Galati Mamertino e concorso Jole de Maria
Fondata dai Saraceni, Galati Mamertino è un pittoresco borgo caratterizzato dalla Chiesa Madre, risalente al 1575 al cui interno sono custodite pregevoli opere, e dalla Chiesa di Santa Caterina che conserva una statua di Antonello Gagini ed un Crocifisso di Fra Umile da Petralia considerato uno dei più belli realizzati dallo scultore. In questo comune decise di passare l’ultima parte della sua vita la soprano Jole de Maria, che morì di cancro nel 2007. E proprio a lei dal 21 al 23 agosto è dedicato il primo Concorso Lirico Internazionale “Jole De Maria”, aperto alla partecipazione di cantanti provenienti da tutti i Paesi del Mondo. Tre serate da godersi in splendide location, in cui la musica lirica si pone come mezzo a sostegno della ricerca sul cancro attraverso la raccolta fondi per l’Istituto Oncologico di Viangrande, e come promotore di nuovi talenti musicali grazie alla possibilità di essere scelti per esibirsi con il Gran Coro lirico siciliano.

I formaggi di Basicò
Basicò è un tranquillo borgo medioevale affacciato sul mare che cela, fra le pietre dei lastricati, una storia tutta da scoprire. E con la storia, da scoprire sono anche i suoi formaggi tipici: due presidi Slow Food inseriti anche nei PAT di Sicilia, che sono il maiorchino e la provola dei Nebrodi o basicotana.
Il maiorchino è un formaggio a pasta dura che sembra fosse già prodotto nel Seicento. Frutto di una lavorazione complessa che richiede tempo e pazienza, questo formaggio lasciato stagionare fino a 24 mesi in locali di pietra interrati, freschi e umidi, è protagonista di una curiosa tradizione: la ruzzola di Carnevale, quando i pastori gareggiano facendo rotolare lungo il pendio della via principale le forme di formaggio.
Anche la provola basicotana vanta una antichissima tradizione, fra cui una stagionatura con un cuore di limone verdello. Ogni anno, in concomitanza con i festeggiamenti per la Madonna di Basicò, il 21 agosto si svolge la Sagra della Provola basicotana (foto: Provola dei Nebrodi, o Basicotana – via www.parks.it).

Un Museo all’aria aperta
È l’idea di un “museo fuori dal museo” quella che caratterizza il “Museo regionale delle tradizioni silvopastorali” di Mistretta: una rete di veri e propri itinerari tematici etnografici per conoscere le tradizioni locali fra arti del bosco, della caccia, pastorali e artigianato della tessitura. Il percorso inizia all’interno del Cinquecentesco ex Palazzo di Giustizia per poi svilupparsi nel territorio, attraverso un sistema di sentieri attrezzati come quello dei carbonai a Portella dell’Obolo, o il Sentiero Agreste (540 metri s.l.m.) che dal Borgo Stella arriva, seguendo la via frequentata dai pastori, nel centro storico di Alcara Li Fusi.
Appartiene al sistema anche il “Museo della Fauna”, allestito nello storico Palazzo Loiacono-Portera e che ospita centinaia di preparati tassidermici oltre ad offrire una vasta panoramica sulle specie più significative del territorio siciliano, con un focus sull’avifauna caratteristica dell’area protetta.

Articolo di Serena Guidobaldi tratto dal settimanale D di Repubblica

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