Mi chiedo che significato può avere il 1° Maggio, per disoccupati, esodati, cassaintegrati, sottoccupati e precari. Non sarebbe più appropriato definire l’1 maggio “giornata della memoria del lavoro” anziché Festa del lavoro o dei lavoratori?
Diventa sempre più difficile parlare di “festa del lavoro” poiché la giornata di ricreazione volta a ricordare le battaglie operaie per la conquista del diritto di un equilibrato orario di lavoro, oggi, per troppe persone, non rappresenta nient’altro che la somma delle contraddizioni e del malessere sociale che il nostro Paese ha accumulato nel corso degli ultimi anni.
La morsa della crisi, il Covid-19, la guerra in Ucraina che ha fatto schizzare i prezzi delle materie prime e altri prodotti alimentari e quelli di gas naturale, la speculazione sui prezzi del petrolio e i rincari dei carburanti, in quest’ultimo periodo ha abbondantemente stritolato le famiglie e le imprese innescando una bomba sociale pronta ad esplodere in qualsiasi momento. Gravi segnali di questo squilibrio sono dati dalle innumerevoli, tristi situazioni che ogni giorno apprendiamo degli organi di stampa.
Diversi anni fa, quando anch’io ero disoccupato, nei momenti di bisogno economico, in molti facevamo riferimento alla famiglia che rappresentava un vero e proprio ammortizzatore sociale. Oggi questa rete di protezione è stata, a sua volta, colpita dalla crisi e pertanto è incapace di supportare e ammortizzare le problematiche economiche dei propri figli. La politica si è dimostrata incapace di cogliere i segnali da tempo mandati da una popolazione che non riesce a trovare una propria identità lavorativa in un contesto che non offre loro spazi.
In giro si respira esasperazione individuale e collettiva, che non trova riscontri positivi, che chiede sviluppo economico e lavoro, confronto sui problemi reali per restituire speranza nel futuro. In questo clima, festeggiare celebrando la storica data del 1° Maggio, è complicato. La gente è triste, avvilita, scoraggiata e, manco a dirlo, gran parte delle colpe sono da addebitare alla sordità della politica che ha prodotto pian piano il risultato che oggi è sotto gli occhi di tutti.
Non può essere definita “ società civile” quella in cui la politica e le Istituzioni restano indifferenti dinnanzi al dramma dell’uomo, del lavoratore, il quale una volta perso il lavoro si spoglia della propria dignità. Società civile e Istituzioni non devono convivere e muoversi in parallelo, ma in maniera complementare e partecipata, perché la vera politica è figlia del bisogno dei cittadini e il bisogno dei cittadini non deve essere, in nessun modo, strumentalizzato.