Slittano al 19 gennaio prossimo le discussioni delle difese, sul processo con rito abbreviato che si sta svolgendo presso il Tribunale di Palermo, che vede imputati alcuni esponenti della famiglia mafiosa di San Mauro Castelverde, la famiglia Farinella, considerati dagli inquirenti i cervelli della mafia in Sicilia, oggi, insieme ad altri soggetti, ritenuti a vario titolo, responsabili di associazione mafiosa, estorsione, trasferimento fraudolento di beni, corruzione, atti persecutori, furto aggravato e danneggiamento.
Il processo scaturito dall’inchiesta denominata “Alastra”, portata a termine dai Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo le cui indagini sono state seguite dal pool di magistrati coordinati dal Procuratore aggiunto Salvatore De Luca, ha subito un leggero ritardo, rispetto alla tabella di marcia, anche per l’obbligo di astensione che ha raggiunto il giudice per le indagini preliminari, Annalisa Tesoriere, poiché firmataria di atti d’indagini. Il procedimento, assegnato alla dottoressa Ermelinda Marfia, riprenderà tra un mese e tratterà le richieste di condanna dei pubblici ministeri: 18 anni di carcere per lo storico boss Domenico Farinella detto “Mico” e 20 per suo figlio Giuseppe, rispettivamente figlio e nipote di Peppino Farinella, capo della famiglia di San Mauro Castelverde e un tempo membro della Commissione mafiosa siciliana. Chiesti 20 anni anche per Giuseppe Scialabba, 16 anni per Francesco Rizzuto e Antonio Alberti, 14 anni per il tusano Gioacchino Spinnato, 12 anni per Mario Venturella, 6 anni per Rosario Anzalone, 4 anni per Vincenzo Cintura, 2 anni e mezzo per Francesca Pullarà e 2 anni per Arianna Forestieri.
Nel blitz dei carabinieri finirono sotto inchiesta anche Antonio Giuseppe Dimaggio e l’ispettore della polizia penitenziaria Giuseppe Rubbino, i cui reati verranno giudicati invece con rito ordinario nel processo in corso presso il Tribunale di Termini Imerese, che riprenderà il prossimo 14 gennaio. Giuseppe Antonio Dimaggio e Gioacchino Spinnato – entrambi di Tusa – unitamente a Giuseppe Scialabba, secondo quanto riportato nella relazione dei magistrati che hanno coordinato le indagini, in concorso tra di loro, mediante minaccia consistita nell’appoggiare un pacchetto di fiammiferi nella tanica di benzina dell’autovettura della vittima, “hanno posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere Nunzio Giambelluca a recedere dalle pretese azionate nei confronti di Dimaggio Giuseppe Antonio con il giudizio civile istaurato per la regolamentazione dei confini e le dichiarazioni dei diritti dei proprietari dei fondi limitrofi.” L’ispettore della polizia penitenziaria Giuseppe Rubbino, accusato di corruzione perché – secondo gli inquirenti – in cambio di un orologio avrebbe offerto i suoi “servigi” a “Mico” Farinella.