Sedici anni per il castelluccese Antonio Alberti e quattordici anni per il tusano Gioacchino Spinnato. Sono queste alcune delle richieste di condanna formulate stamattina dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca e dai sostituti Bruno Brucoli e Gaspare Spedale contro due dei tre soggetti dei Nebrodi, imputati nell’inchiesta “Alastra” scattata il 30 giugno dell’anno scorso che coinvolse 11 persone nel fermo di indiziato di delitto emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, ritenute a vario titolo responsabili di associazione mafiosa, estorsione, trasferimento fraudolento di beni, corruzione, atti persecutori, furto aggravato e danneggiamento.
Il processo si sta svolgendo con il rito abbreviato davanti al Giudice per le udienze preliminari Simone Alecci. Oltre alle pene pesantissime invocate per Alberti e Spinnato, i pubblici ministeri hanno anche chiesto diciotto anni di carcere per lo storico boss Domenico Farinella detto “Mico” e ben venti per suo figlio Giuseppe, figlio e nipote di Peppino Farinella, capo della famiglia di San Mauro Castelverde e un tempo membro della Commissione mafiosa siciliana. Vent’anni anche per Giuseppe Scialabba, 16 anni per Francesco Rizzuto, 12 anni per Mario Venturella, 6 anni per Rosario Anzalone, 4 anni per Vincenzo Cintura, 2 anni e mezzo per Francesca Pullarà e 2 anni per Arianna Forestieri. Ad ottobre la parola passerà alle difese.
Nel blitz dei carabinieri finirono sotto inchiesta anche Antonio Giuseppe Dimaggio e l’ispettore della polizia penitenziaria Giuseppe Rubbino i cui reati verranno giudicati, con rito ordinario, nel processo che inizierà il prossimo 10 settembre presso il Tribunale di Termini Imerese. Giuseppe Antonio Dimaggio e Gioacchino Spinnato – entrambi di Tusa – unitamente a Giuseppe Scialabba, secondo quanto affermano i magistrati che hanno coordinato le indagini, in concorso tra di loro, mediante minaccia consistita nell’appoggiare un pacchetto di fiammiferi nella tanica di benzina dell’autovettura della vittima, hanno posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere Nunzio Giambelluca a recedere dalle pretese azionate nei confronti di Dimaggio Giuseppe Antonio con il giudizio civile istaurato per la regolamentazione dei confini e le dichiarazioni dei diritti dei proprietari dei fondi limitrofi. l’ispettore della polizia penitenziaria Giuseppe Rubbino, accusato di corruzione perché – secondo gli inquirenti – in cambio di un orologio avrebbe offerto i suoi “servigi” a Farinella. Un altro indagato, Pietro Ippolito, che era stato subito scarcerato (come Anzalone, difeso dall’avvocato Michele Rubino) è invece morto di Covid. Era assistito dall’avvocato Domenico Trinceri.
L’operazione “Alastra” aveva consentito di smantellare il clan di San Mauro che, per la Procura, Farinella avrebbe ripreso a gestire appena scarcerato, nel 2019. Grazie alla collaborazione di diversi imprenditori e commercianti erano state ricostruite 11 estorsioni. I boss avrebbero tra le altre cose imposto la fornitura di carne dalla macelleria di Scialabba, a Finale di Pollina.
Nel processo si sono costituiti parte civile il Centro Pio La Torre (rappresentato dagli avvocati Ettore Barcellona e Francesco Cutraro) e i Comuni di Castel di Lucio, Castelbuono e Pollina. A fianco delle quattro vittime anche il Coordinamento siciliano di “Sos Impresa – Rete per la Legalità”, “Sos Impresa Palermo. A rappresentarle saranno il vice presidente vicario nazionale di “Sos Impresa – Rete per la Legalità”, Pippo Scandurra , il presidente dell’Acis e coordinatore regionale, Giuseppe Foti; il presidente di “Sos Impresa Palermo”, Matteo Pezzino.