All’esito dell’udienza preliminare svoltasi presso il Tribunale di Palermo, gli imputati Antonio Giuseppe Dimaggio e Giuseppe Rubbino, coinvolti nell’inchiesta che il 30 giugno 2020 portò al fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, 11 persone ritenute, a vario titolo responsabili di “associazione mafiosa, estorsione, trasferimento fraudolento di beni, corruzione, atti persecutori, furto aggravato e danneggiamento”, sono stati rinviati a giudizio.
I due avevano scelto di essere giudicati con rito ordinario. Il Tribunale di Termini Imerese aveva dichiarato la nullità del Decreto che disponeva il giudizio, restituendo gli atti al Pubblico Ministero. Lo scorso 22 febbraio, innanzi al Giudice per le Udienze Preliminari Nicola Aiello, Dimaggio e Rubbino, nell’ambito di un procedimento penale, per difendersi da un’accusa emersa in seguito allo svolgimento e alla conclusione delle indagini investigative, sono stati rinviati a giudizio. La prima udienza è stata fissata per il prossimo 8 aprile presso il Tribunale di Termini Imerese.
Nel blitz dei carabinieri che ha interessato i vertici del Mandamento di San Mauro Castelverde, finirono sotto inchiesta anche gli imputati Antonio Giuseppe Dimaggio e l’ispettore della polizia penitenziaria Giuseppe Rubbino, difesi rispettivamente dagli avvocati Santo Trovato del Foro di Patti e Luca Angeleri del Foro di Pavia.
Giuseppe Antonio Dimaggio e Gioacchino Spinnato – entrambi di Tusa – unitamente a Giuseppe Scialabba, secondo quanto riportato nella relazione dei magistrati che hanno coordinato le indagini, in concorso tra di loro, mediante minaccia consistita nell’appoggiare un pacchetto di fiammiferi nella tanica di benzina dell’autovettura della vittima, “hanno posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere Nunzio Giambelluca a recedere dalle pretese azionate nei confronti di Dimaggio Giuseppe Antonio con il giudizio civile istaurato per la regolamentazione dei confini e le dichiarazioni dei diritti dei proprietari dei fondi limitrofi.”
Giuseppe Rubbino, accusato di corruzione perché – secondo gli inquirenti “nella veste di pubblico ufficiale, quale agente di Polizia Penitenziaria in servizio presso la Casa Circondariale di Voghera, “ha accettato la promessa della dazione di un orologio da parte di Domenico Farinella, quale ricompensa per avere posto in essere un atto contrario ai doveri di ufficio, consistito nel trasmettere, su richiesta del “Mico”, alcune richieste/informazioni ad un detenuto, e, successivamente, nel riportare al Farinella la risposta del detenuto. Condotta posta in essere in violazione delle norme che disciplinano le modalità di comunicazione dei detenuti con l’esterno dell’istituto circondariale e, comunque, in violazione dei doveri di fedeltà e di perseguimento esclusivo degli interessi pubblici nell’esercizio della funzione. Con la aggravante di aver posto in essere la condotta al fine di agevolare il sodalizio mafioso”.
All’esito del processo, con rito abbreviato, lo scorso 16 febbraio per 7 degli 11 imputati del processo scaturito nella medesima operazione antimafia, è arrivata la sentenza di primo grado che vede la condanna dei principali protagonisti dell’inchiesta che il 30 giugno 2020 portò al fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo.