È ormai in dirittura d’arrivo la sentenza del Maxiprocesso “Nebrodi” che vede alla sbarra 101 imputati e con essi un sistema mafioso milionario fatto di connivenze e silenzi. I giudici ritirati in Camera di Consiglio dal 24 ottobre potrebbero emettere la sentenza, che sarà letta nell’aula del Tribunale di Patti in Provincia di Messina, ormai a brevissimo. Le date previste sono quelle di lunedì o giovedì.
Ricordiamo che il maxiprocesso Nebrodi scaturisce dall’operazione del 15 gennaio 2020 denominata “Nebrodi” con 94 arresti e il sequestro di 151 aziende agricole per mafia, una delle più vaste operazioni antimafia eseguite in Sicilia e la più imponente, sul versante dei Fondi Europei dell’Agricoltura in mano alle mafie, mai eseguita in Italia e all’Estero.
Un meccanismo interrotto dal “Protocollo Antoci” poi recepito nei tre cardini del Nuovo Codice Antimafia e votato in Parlamento il 27 settembre 2015. Per tutto ciò l’ex Presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, oggi Presidente Onorario della Fondazione Caponnetto, ha rischiato la vita in quel tragico attentato mafioso del 2016 dal quale si è salvato grazie all’auto blindata e al violento conflitto a fuoco ingaggiato dai poliziotti della sua scorta, tutti promossi per merito straordinario e medaglia al valore.
Il processo arriva dunque in dirittura d’arrivo con le richieste di condanne di luglio scorso per 1045 anni di carcere e 30 milioni di euro di confische e che si è celebrato in tempi record con un grande lavoro svolto dal Tribunale presieduto dal dott. Ugo Scavuzzo e dalla Procura guidata fino a qualche giorno fa da Maurizio De Lucia oggi Procuratore di Palermo. Un grande impegno dei quattro PM che si sono alternati per ricostruire l’intera vicenda: Il Procuratore Aggiunto Vito Di Giorgio, i sostituti della DDA Fabrizio Monaco e Antonio Carchietti e quello della Procura Alessandro Lo Gerfo che non si sono risparmiati lavorando alacremente tutti i giorni. Un vero esempio di efficienza della tanto vituperata giustizia italiana.
“Sarò presente in aula alla lettura della Sentenza – dichiara Antoci -. Si chiude un cerchio si scrive una pagina di storia, si libera un territorio. Da quel 2013 non avrei mai immaginato di attraversare una strada così tortuosa, non avrei mai pensato di dover rischiare la mia vita e perdere la mia libertà, così come non avrei certamente mai pensato di contribuire a creare una norma dimostratasi devastante per le organizzazioni mafiose”.
“Sono stati anni di sofferenze e preoccupazioni – ancora Antoci – ma anche di vittorie. Spero in un verdetto esemplare che possa alleviare almeno in parte tutto il dolore di questi anni. Sono infatti convinto che nell’accidentato cammino della vita – gravido di inside, tragedie, paludi, meschinità, zavorre e miserie – la resilienza e la difesa senza se e senza ma della dignità rimane la sola vitale questione dell’essere umano. Ecco, io ho tentato di fare solo questo e solo questo porterò dentro quell’aula ascoltando una sentenza emessa nel nome del Popolo Italiano – conclude Antoci.