Reddito di cittadinanza, abolito dal 2024: ecco come cambia nel 2023
Fine del Reddito di cittadinanza. Giorgia Meloni, presidente del Consiglio dei ministri, durante la conferenza stampa di presentazione della manovra approvata dal Consiglio dei ministri, ha ribadito la fine della legge fortemente voluta dal Movimento 5 Stelle. È stata fatta una scelta di “abolizione graduale” perché il governo, ha spiegato la premier, non ha avuto il tempo fisico di mettere a punto la nuova normativa. Quindi il Rdc sarà abrogato definitivamente dal 2024 e il 2023 sarà considerato un anno cuscinetto. L’obiettivo è quello di inserire nel mondo del lavoro gli “occupabili”, le persone cioè che possono essere impegnate in un posto di lavoro e che saranno aiutate con corsi di formazione. Per loro i mesi di sostegno del Rdc scenderanno subito da dodici a otto. Gli aiuti di Stato saranno persi anche da chi rifiuterà la prima offerta di lavoro considerata congrua. Giorgia Meloni ha ribadito nel corso della conferenza stampa che il Rdc non ha funzionato visto che c’è chi lo prende da tre anni e non è stato inserito nel mondo del lavoro. Nel 2023 il governo metterà a punto quelle misure che consentiranno l’ambolizione nel 2024. Gli aiuti saranno conservati da chi non è considerato “occupabile”. Stretta rigorosa anche nei confronti di chi non è in Italia.
Come cambia il reddito di cittadinanza per il 2023 e chi lo perderà
Il governo ha spiegato che dal 1 gennaio 2023 alle persone tra 18 e 59 anni (abili al lavoro ma che non abbiano nel nucleo disabili, minori o persone a carico con almeno 60 anni d’età) sarà riconosciuto il reddito di cittadinanza nel limite massimo di 8 mensilità. Si tratta di un taglio importante, considerando che al momento la misura è per 18 mensilità con la possibilità di rinnovo. Contemporaneamente, saranno necessari almeno sei mesi di partecipazione a un corso di formazione o riqualificazione professionale, pena la decadenza immediata del beneficio. Prevista la decadenza anche nel caso in cui si rifiuti una sola offerta di lavoro considerata congrua. Il sussidio sarà comunque percepito dai cosiddetti “inoccupabili”, ad esempio persone che presentano disabilità per cui è impossibile lavorare. Per loro non cambierà nulla e continueranno a vedersi corrispondere l’assegno a fine mese.
lI reddito sarà abolito dal 2024
Dal 1° gennaio 2024 non ci sarà più il reddito di cittadinanza, ma una nuova riforma i cui contorni non sono ancora stati resi noti. Nelle intenzioni del governo Meloni, si tratterà di procedere a una revisione complessiva degli strumenti di sostegno al reddito, con la cancellazione della misura varata dal primo governo Conte e confermata dai successivi esecutivi. Come abbiamo visto, è comunque previsto un periodo ponte abbastanza lungo in modo da facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro per chi a oggi è a casa, con corsi di formazione e altre iniziative. Una soluzione paracadute per cui avrebbe spinto la ministra del Lavoro, Marina Calderone.
Giuseppe Conte pronto a scendere in piazza a difesa del reddito di cittadinanza
“Un governo che oggi ha l’obiettivo di smantellare il reddito di cittadinanza, di fronte alle difficoltà che abbiamo non è conservatore, ma reazionario e scollato dalla realtà”, ha commentato il presidente del Movimento Cinque Stelle, Giuseppe Conte. E ancora: “Un governo che ha questo come obiettivo significa che ha completamente perso la presa e il contatto con la realtà delle difficoltà economiche e sociali che in questo momento attraversa il Paese. Un governo che è in preda a una tale furia iconoclasta e ideologica che non analizza neppure i dati. Tra i 660 mila occupabili non ci sono giovani scansafatiche, ci sono invece 220 mila lavoratori che prendono 4-5 euro lordi l’ora, e quindi integrano il loro salario con il reddito di cittadinanza per fare la spesa e mantenere una famiglia”. Il leader M5s, infine, ha concluso: “Non hanno compreso che la maggior parte di questi, anche fino al 70%, sono persone con un titolo di istruzione molto basso e fino a 190 mila sono persone over 50, che hanno oggettive difficoltà a essere competitive nel mercato del lavoro”.