Reddito di cittadinanza: la modifica mette a rischio il 38.5% dei percettori

Sono attesi entro la fine di gennaio gli interventi del ministero del Lavoro sul  nuovo cosiddetto “decreto lavoro”. L’attenzione è puntata anche, ma non solo, sul reddito di cittadinanza. Si punta a una nuova definizione dell’offerta di lavoro che non si può rifiutare per non perdere definitivamente il sussidio.

Per gli “occupabili” il reddito di cittadinanza nel 2023 resta solo per 7 mensilità e decade già dopo il primo rifiuto ad un’offerta anche non “congrua”. Per i 18-29enni che non hanno finito la scuola dell’obbligo è subordinato alla frequenza di corsi formativi. La quota dell’assegno destinata all’affitto sarà pagata direttamente ai proprietari. L’idea del Governo è quella di non dare un sussidio, ma il lavoro.

Secondo le nuove impostazioni alle persone tra 18 e 59 anni (abili al lavoro ma che non abbiano in famiglia disabili, minori o persone a carico con almeno 60 anni d’età) il reddito di cittadinanza viene riconosciuto solo per 7 mensilità invece delle attuali 18 rinnovabili. Nel testo della manovra inviato alle Camere vengono introdotte anche altre novità. A partire dal 2023 anche chi rifiuterà una sola offerta di lavoro perderà il beneficio e sarà obbligatorio frequentare un corso di formazione o riqualificazione professionale (pena la decadenza del sussidio).

Il sussidio non sarà cancellato a tutti i percettori, ma solo a coloro che sono tenuti a sottoscrivere il patto per il lavoro, hanno meno di 60 anni e nel cui nucleo familiare non ci sono disabili, minorenni o persone con più di 60 anni. Nel 2024 poi ci sarà una nuova revisione della misura, ma in ogni caso la maggioranza ha fatto capire che chi è “inabile” al lavoro potrà continuare a contare su un sussidio (che sia il reddito di cittadinanza o con un altro nome). Ora il decreto lavoro atteso entro gennaio nelle intenzione del governo dovrà “dare più flessibilità e meno burocrazia alle aziende, più sicurezza ai lavoratori”

Per quel che riguarda le offerte di lavoro ai percettori di reddito di cittadinanza, secondo indiscrezioni permarrà così com’è (o quasi) il criterio di territorialità (quindi un residente in Sicilia potrà rifiutare un lavoro di pochi giorni in Lombardia senza perdere il reddito, ad esempio).

In concreto il reddito decade dopo il primo rifiuto di un’offerta anche non “congrua”. La normativa in vigore finora prevedeva che l’offerta di lavoro dovesse essere idonea, sulla base di diversi parametri: il luogo di lavoro doveva trovarsi entro 80 km o 100 minuti di viaggio con mezzi di trasporto pubblici; la retribuzione non doveva essere inferiore ai minimi salariali previsti dai contratti collettivi; l’impiego doveva essere a tempo pieno o con un orario di lavoro non inferiore al 60 per cento dell’orario a tempo pieno previsto nei contratti collettivi; il contratto doveva essere a tempo indeterminato, determinato o di somministrazione; il lavoro doveva essere coerente con le esperienze e le competenze maturate.

La modifica del requisito di “congruità” non significherà e si dovrà accogliere la prima proposta a prescindere dalla posizione sul territorio nazionale ma ci sarà invece meno “riguardo”, probabilmente, all’esperienza lavorativa e con la coerenza con le esperienza pregresse del percettore di sussidio. ll percettore del reddito di cittadinanza potrà rifiutare un’offerta di lavoro quando il luogo di lavoro dista più di 80 chilometri da casa o non è raggiungibile entro un’ora e mezza con i mezzi pubblici.

Secondo le stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio la stretta decisa dal governo Meloni potrebbe far perdere il beneficio al 38.5% delle persone che oggi lo ricevono. Si tratta di percentuali che corrispondono a circa 400mila famiglie e oltre mezzo milione di individui.

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Redazione