“Mascariare”, come abbiamo qualche volta avuto modo di spiegare, è la pratica di “tingere”, intenzionalmente, qualcuno cucendogli addosso un vestito su misura fatto di falsità e infondatezze, arrivando persino a mistificarne i comportamenti e l’operato all’inverosimile, per privarlo, in tutto o in parte, del credito e della reputazione. Una condotta sopraffina per mezzo della quale si cerca di fermare l’azione di contrasto.
Un comportamento che, negli ultimi tempi, assume sempre più rilevanza negli ambienti mafiosi, a scapito di chi, nei territori, rappresenta lo Stato. Territori in cui l’impostore, il malavitoso, ad ogni costo, cerca di passare per vittima mostrandosi bersaglio finale di comportamenti aggressivi soprattutto delle forze dell’ordine. Come il caso che stiamo per raccontarvi, accaduto nel territorio di Troina luogo in cui la criminalità organizzata, fino a poco tempo fa, era libera di gestire i propri affari. Parliamo dell’epoca in cui i pascoli tra le province di Enna e Messina sottostavano alla logica del più forte che, da queste parti, spesso coincide con i clan.
Un’epoca in cui il ruolo dello Stato e delle Istituzioni si limitava alla formalizzazione di affitti concessi a condizioni vantaggiose e senza alcun controllo su chi, grazie a quei terreni demaniali, avrebbe spalancato le braccia davanti alla pioggia di fondi messi a disposizione dall’Unione europea. Anni in cui i Nebrodi finiscono al centro delle cronache nazionali per l’attentato all’ex presidente del Parco, Giuseppe Antoci ed in cui Fabio Venezia, sindaco di Troina, uno dei protagonisti della fase di cambiamento, cominciò, nel territorio troinese, a denunciare gli affari illeciti della mafia, annullando gare d’appalto, accompagnando imprenditori a denunciare e sottraendo migliaia di ettari di terreni demaniali dalla gestione di famiglie contigue alla criminalità organizzata.
L’azione dello Stato, in questo ben definito contesto territoriale del versante sud dei Nebrodi, nell’area nord della provincia di Enna, allora inizia a farsi incisiva, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia, in funzione alle proprie competenze, mettono in atto appositi protocolli di contrasto alla criminalità organizzata. La Polizia Stradale di Nicosia, ad esempio, inizia con un controllo più attento della viabilità del tratto nebroideo, aumentando i controlli per limitare l’illegalità ed il malaffare che, vuoi o non vuoi, deve necessariamente passare per le vie di comunicazione. Un controllo stradale più attento porta a risultati importanti in brevissimo tempo.
Aumentano i sequestri amministrativi, le sanzioni, il controllo sulla movimentazione di animali spesso spostati senza le dovute autorizzazioni sanitarie, ad indirizzo, principalmente, di famiglie dedite al malaffare operanti nel territorio. I risultati arrivano prestissimo: nessuna movimentazione su strada di mezzi se non perfettamente in regola, con danni concreti verso i soggetti che, fino a quel momento, si muovevano a proprio piacimento ed incuranti delle regole, nel territorio. L’azione di contrasto dell’intero reparto di Polizia, risulta vincente, le famiglie vengono colpite duramente, fioccano sanzioni e sequestri di mezzi e animali. Ed è proprio l’azione incisiva dei controlli che comincia a dar fastidio a qualche malavitoso che s’ingegna e passa al contrattacco, proprio con la pratica del “mascariamento”.
Viene preso di mira un poliziotto della stradale, uno come tanti altri dediti al proprio lavoro, coordinati, oggi, dall’ispettore Cosimo Greco del Distaccamento Polizia Stradale Nicosia, soprinteso dal commissario capo Giovanni Martino, comandante della Sezione Polizia Stradale Enna. Un pluripregiudicato presenta un primo esposto, presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Enna, nei confronti dell’agente “rompiscatole” della Squadra Mobile di Nicosia, nel quale il poliziotto viene accusato di una serie di illeciti nei confronti del ricorrente, perpetrati nel corso di accertamenti nel bel mezzo di un posto di controllo. Accuse pretestuose, come risulterà in seguito dal decreto di archiviazione emesso dal Tribunale di Enna, ma che, al momento, danno il via ad un’indagine finalizzata ad accertare quanto fosse successo.
A dar forza all’esposto, un altro esposto, sempre a carico dello stesso poliziotto, viene presentato alla Procura di Enna, a firma di un altro membro della medesima famiglia malavitosa, nel quale viene dichiarato, in altro luogo e in altra circostanza, un tentativo di investimento che il poliziotto avrebbe perpetrato nei confronti suoi, con la macchina di servizio. L’indagine sull’agente della Squadra Mobile, che la competente Procura aveva delegato alla Polizia, viene intensificata e, per evitare contaminazioni, affidata anche ai Carabinieri. Intanto veniva sospeso ogni tipo di controllo sulla famiglia dedita al malaffare la quale era libera di scorrazzare a destra e a manca indisturbata. Nessuno della Stradale, per soggezione o sottostando a qualche indicazione imposta da organi superiori, si permetteva di fermare e controllare nessuno.
L’obiettivo del clan era stato raggiunto con risultati più che soddisfacenti. Dopo due anni di meticolose ed estenuanti indagini, di Carabinieri e Polizia, brillantemente coordinate dal procuratore della Procura di Enna Massimo Palmeri, sembrerebbe emergere un progetto criminale. Accusando e diffamando l’agente di Polizia, si legge nelle risultanze investigative, la famiglia mafiosa era riuscita in una premeditata pianificazione: quella di bloccare l’attività e l’azione di contrasto al crimine e al malaffare di un intero reparto che per 2 anni è rimasto a “guardare” e che a circa 3 mesi dalla conclusione delle indagini sul poliziotto, e dall’archiviazione degli atti relativi, non è ancora ripartito, come dimostrano i numeri, in nostro possesso, riguardanti gli accertamenti e i risultati ottenuti dagli stessi, messi a confronto con i trimestri antecedenti agli esposti.